Scuola di Resina
Un gruppo di pittori si riunivano presso Resìna, località oggi inglobata nel comune di Ercolano (conosciuto anticamente come Resìna, da cui prende il nome la corrente) e a Portici, dal 1863 al 1867, cioè dall'arrivo a Napoli di Adriano Cecioni, fino alla partenza di Giuseppe De Nittis per Parigi.
Il programma della scuola fu dichiaratamente antiaccademico, orientato verso lo studio del vero, l'immediatezza dell'impressione e affine a quello dei macchiaioli. Negli anni porticesi De Nittis eseguì una serie di paesaggi immersi in una luce limpida e tersa; lo stesso impianto che ritroviamo nelle opere di Marco De Gregorio, più indirizzate però verso la rappresentazione del paesaggio urbano. Oltre a Cecioni, De Nittis e De Gregorio, altri membri generalmente inclusi nel nucleo della scuola sono Federico Rossano, Nicola Palizzi e Antonino Leto. La scuola di Resìna - che era una reazione all'ambiente artistico partenopeo, dominato da Filippo Palizzi e da Domenico Morelli - intendeva abolire il disegno preparatorio, accogliere soggettivamente le impressioni che l'osservazione della natura suggerisce e realizzare una pittura essenzialmente tonale.
Secondo Diego Martelli «[Cecioni] fatta lega con Marco De Gregorio, Giuseppe De Nittis e Federico Rossano, costituì con essi una camerata di radicali in arte, che nessuna autorità riconoscendo, disprezzando tutto quanto poteva procurar loro benessere, con le concessioni fatte alla moda, si deliziarono delle intime soddisfazioni che procura ai veri artisti, in comunione d'idee, la osservazione attenta della natura, il fantasticare quotidiano e continuo su tutti gli effetti e su tutte le forme dell'avvicendarsi continuo delle immagini della vita.»
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