auto antiche e moderne

domenica 20 giugno 2021

Bergamini Francesco

 Inserito in ARTISTILE FIRME DEI PITTORI ITALIANI DELL'OTTOCENTO

ergamini Francesco   Attivo nella seconds mrtà del XIX decolo


Francesco Bergamini (Roma 1851 – Roma 1900) è stato un pittore italiano.

 si specializzò in dipinti di genere, eseguiti con uno stile vigorosamente realista memore della scuola napoletana.

Partecipò a Roma nel 1891 all’Esposizione della Società Amatori e Cultori delle Belle Arti (di cui fu nominato membro nel 1900) e ancora nel 1893 all’Esposizione Nazionale (Gli ultimi).morì a  Roma nel 1900.

                                                                        
"Coro"
50x62,5 olio su tela   
        







venerdì 18 giugno 2021

indice dei pittori presenti nel blog elioarte

 Vincenzo Migliaro *

Michele Cascella

Francesco Coleman

Vittorio Cavalleri *

Mario Gachet*

giovanni colmo *

Vittorio Bussolino

Mario Cheduzzi *

Andrea Marchisio *

Leonardo Bazzaro

Francesco Loiacono

Angelo Beccaria*

Firtz Vogler*

Vincenzo Cabianca

Vincenzo Caprile*

Filippo Palizzi*

Alberto Rossi

Emma Ciardi*

Francesco Coleman  

Massimo D'azeglio

Enrico Gamba *

Cesare Nonti

Telemaco Signorin

Sottili  Enrico

Colmo Giovanni*













Torcia Francesco Saverio

Coleman Francesco

Coleman Francesco 1851 – 1918 Inserito in ARTISTI, LE FIRME DEI PITTORI ITALIANI DELL'OTTOCENTO Coleman Francesco Francesco Coleman (Roma, 1851 – Roma, 9 gennaio 1918) è stato un pittore italiano. Biografia Francesco Coleman nacque a Roma il 23 luglio 1851. Era il sesto di otto figli del pittore inglese Charles Coleman, che era venuto a Roma nel 1831 e vi si stabilì definitivamente nel 1835, e sua moglie Fortunata Segadori, una famosa modella di Subiaco, che aveva sposato nel 1836. Studiò pittura nello studio di suo padre e mostrò una particolare attitudine per i colori ad acqua. Era conosciuto come un pittore di dipinti, ad olio e acquarelli, delle persone e dei paesaggi della Campagna Romana e dell’Agro Pontino, e di soggetti orientali. Ha condiviso lo studio in via Margutta 33 con suo padre e suo fratello Enrico per tutta la vita. Nel 1887 ottenne un diploma d’onore all’Esposizione internazionale di Dresda. Ha cessato ogni attività artistica dopo la morte di Enrico nel 1911. Morì il 9 gennaio 1918 nella sua casa di via Valenziani, vicino a Porta Salaria. Fu sepolto nel Cimitero del Verano.
"Famiglia con asinello" Roma 1881 40x49 acquerello su carta Opera firmata, datata e localizzata in basso a destra

mercoledì 2 giugno 2021

Michele Cascella

Michele Cascella (Ortona, 7 settembre 1892 – Milano, 31 agosto 1989) è stato un pittore e paesaggista crepuscolare italiano. Nel corso della sua lunga vita artistica articolatasi in quasi otto decenni di intensa attività, Cascella ha saputo mantenere uno stile unico, inconfondibile e pressoché immune dalle contaminazioni delle correnti ed avanguardie pittoriche del Novecento. Le sue opere, comprendenti tele, tavole, pastelli e disegni, sono esposte nei più importanti musei italiani e internazionali, tra i quali il Victoria and Albert Museum[1] di Londra, la Galerie nationale du Jeu de Paume di Parigi, il National Museum of History and Art in Lussemburgo, il Musée d'Art Moderne a Bruxelles e la De Saisset Art Gallery dell'Università di Santa Clara in California, dove è esposta una vasta collezione permanente di opere. Copiosa risulta pure l'opera grafica, comprendente litografie, cromolitografie, serigrafie e acqueforti, tecniche che utilizzò sin da ragazzo e grazie alle quali conobbe - soprattutto sul finire del XX secolo - e mantiene tuttora una notevole notorietà presso il grande pubblico. I tratti distintivi del pittore contemperano la superba capacità compositiva, cui si aggiungono la grande padronanza del disegno e le vibranti cromìe, di cui sono esemplari fattispecie le composizioni floreali, nelle quali Cascella tocca vette espressive elevatissime, così come lo sono le vedute, ove raggiunge esiti di impareggiabile freschezza, luminosità e atmosfera. Michele Cascella: paesaggista crepuscolare? Posted on 31 luglio, 2009 by fatateam Michele Cascella nacque in una famiglia numerosa, comprendente, oltre a fratelli e sorelle (erano in 6), il padre e la madre, il nonno e due sorelle del padre, a Ortona a Mare, in provincia di Chieti, il 7 settembre 1892. E’ stato un artista abbastanza discusso in quanto esaltato da una certa critica, accusato di essere “commerciale” da altra. Da ragazzo non aveva molta propensione allo studio; figlio di un bravo pittore, ceramista e litografo, oltre che sarto del paese, Michele si rivela infatti un pessimo studente con scadenti risultati, non solo nelle materie scolastiche di concetto, ma persino in disegno. Dopo l’ennesima bocciatura, il padre Basilio lo portò ad imparare un mestiere nel suo laboratorio cromolitografico dove insieme a suo fratello Tommaso acquisirà dimestichezza con gli arnesi professionali. Michele si ambientò nel laboratorio, portando a termine gli esercizi che suo padre gli fece eseguire: copiare i disegni di Botticelli e di Leonardo, copiare anche grandi bocche e grandi nasi che suo padre disegnava apposta per lui. zinie zinie Acquisite le basi artistiche come abbiamo visto grazie all’amore ed alla passione del padre Basilio, nel 1907, tenne assieme al fratello Tommaso la sua prima mostra personale nelle sale della Famiglia Artistica di Milano, dimostrando subito uno spiccato talento di colorista. Buon sangue non mente: la famiglia Cascella conterà, nel corso del Novecento, numerosi esponenti artistici. Milano lo tenne a battesimo artistico, dunque, nel 1907 quando lo stile Liberty, dopo aver toccato il suo apice l’anno prima con la grande Esposizione del Sempione, era in decadenza per cedere il passo a nuove tendenze. Don Achille Ratti divenne Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano nel medesimo anno, per poi salire al soglio pontificio nel 1922. Sempre nel 1907 Rodolfo Mondolfo – storico della filosofia – spaziava, con i suoi scritti, dal “problema della laicità nella scuola media”, a “il contratto sociale e la tendenza comunista in J.J. Rousseau”, in Rivista di Filosofia. Intanto sempre nel 1907, nel suo studio, Picasso andava a comporre la prima opera cubista “Les demoiselles d’Avignon” dando vita ad un nuovo movimento artistico, il cubismo appunto, che si differenzierà dall’antica pittura in quanto non più arte di imitazione, ma di pensiero, che tende ad elevarsi fino alla creazione. Nel 1909, ancora in coppia con Tommaso, Michele espose per la prima volta a Parigi, aggiornandosi agli sviluppi del Post-Impressionismo. Nel 1910 tornò a Milano, frequentando i Futuristi Marinetti, Boccioni e Margherita Sarfatti e seguendo con interesse gli sviluppi del Divisionismo. Cascella paesaggista crepuscolare è stato il nostro incipit a queste brevi note. Crepuscolari furono definiti dal critico Giuseppe Antonio Borgese quei poeti che avvertirono la crisi spirituale del tempo come un crepuscolo nell’imminenza del tramonto, che non vollero e non seppero allacciare alcun rapporto concreto e costruttivo con la realtà sociale, che rifiutarono ogni aggancio con la tradizione culturale. Questi artisti, in particolare i poeti, si ripiegarono su se stessi a compiangersi d’esser nati e, in attesa della morte, cantarono gli aspetti più banali e insignificanti del quotidiano, avvolgendo uomini e cose in una nuvola di malinconia. Privi di fede e di speranza, i crepuscolari si rifugiarono nel grigiore delle cose comuni, quasi col pudore di chi vuol nascondersi agli occhi degli altri per non farsi veder piangere. Il paesaggio crepuscolare si smorza nei toni, nei colori, soffoca la luce, si restringe all’interno di perimetri ben delimitati, recintati, che solo apparentemente chiudono l’orizzonte all’uomo e al poeta; gli orti delle case, dei conventi, i giardini, i parchi delle ville, i solai, i salotti sono il nuovo spazio entro cui il poeta si muove e nei quali scopre e ricorda l’universo intorno. Per meglio delineare i profili ricordiamo che la corrente Crepuscolare era in contraddizione con il movimento Futurista. Infatti, il crepuscolarismo, nonostante condivida con il Futurismo l’idea di interartisticità, ha però una concezione della vita completamente diversa: * i futuristi inneggiano alle innovazioni, i crepuscolari sono avversi a una modernità che aliena l’individuo; * i futuristi sono prepotenti, dinamici, chiassosi, i crepuscolari assumono toni dimessi, pacifici e malinconici; * i futuristi esaltano il caos e le attività delle grandi città, i crepuscolari amano l’intimità, le “piccole cose di pessimo gusto”, gli affetti familiari e una vita tranquilla; * i futuristi sono sempre protesi verso un “domani” esaltante, i crepuscolari guardano al passato e alle piccole cose quotidiane. La specializzazione nel paesaggio e nella veduta, in un momento di crisi dei generi quale quello in cui visse, assicurò e continuò ad assicurare a Cascella un successo di portata internazionale, con i consueti soggetti abruzzesi che vengono alternati a quelli di Portofino e delle maggiori metropoli, come un carnet di viaggio, e il ventaglio di opzioni espressive che varia di volta in volta, dal sentimentalismo tardo-simbolista, improntato su tonalità fredde, al bozzettismo da Ecole de Paris, pittoricistico, che lo faceva definire l’“Utrillo italiano”, con incursioni in terreni comuni che gli fanno sfiorare ora Strapaese, ora il Chiarismo, ora l’Espressionismo di Sassu (Solennità in San Pietro, 1939) o dei Sei di Torino (Rachele, 1943). Vittorio Sgarbi nel luglio 2008 curò, al Museo Michetti di Francavilla Al Mare, la mostra “Michele Cascella: La Gioia di vivere”. La mostra, si compose di oltre ottanta opere rappresentanti tutte le principali fasi espressive dell’artista. Sgarbi affermò: “Vituperato in vita perché troppo indulgente nei confronti della popolarità, perché troppo “commerciale”, come si diceva allora, Cascella si prende ora le sue rivincite. Diciannove anni dalla morte sarebbero bastati a spazzarlo via non solo dalla memoria dei critici, ma anche del grande pubblico. E invece, eccolo ancora fra noi, eccoci ancora ad occuparci di lui. Della sua arte intenzionalmente semplice, votata a individuare un’idea istintiva del bello, di quanto più larga condivisione possibile, quasi francescana nel concepire il senso della natura, un sermo communis per il quale una marina è sempre una marina e un fiore un fiore.” Condividi - Share this: