a nascita di questo gruppo venne sancita da una celebre definizione di Pasquale Villari, che nel 1867 scrisse:
«La bellezza del clima, i paesaggi stupendi che circondano Napoli, e i molti forestieri che ne chiedono sempre qualche ricordo disegnato e dipinto, avevano fatto sorgere un certo numero di artisti i quali, come per disprezzo, erano dagli accademici chiamati della Scuola di Posillipo, dal luogo dove abitavano per essere più vicini ai forestieri. Essi non facevano che in origine di copiare vedute, ma gli inglesi hanno generalmente molto gusto per questi lavori, li giudicano e li pagano bene. Fu perciò necessario migliorare, e la Scuola di Posillipo fece infatti progresso, e crebbe di numero»
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(Pasquale Villari[2]) |
La scuola nacque intorno al 1820, quando l'atelier di Anton Sminck van Pitloo, un vedutista olandese residente a Napoli dal 1816, fra i primi a dipingere all'aria aperta, divenne luogo di ritrovo e di apprendimento per giovani pittori. Nel decennio 1825-1835 si raccolsero gli artisti appartenenti alla prima generazione, come Achille Vianelli, Gabriele Smargiassi, Teodoro Duclère, Vincenzo Franceschini, Beniamino De Francesco, Alessandro Fergola e Pasquale Mattej.[2]
Accanto agli alunni della scuola si era formato un folto numero di fiancheggiatori, costituiti da interi nuclei familiari. I «Carelli»: il padre Raffaele, con i tre figli Consalvo, Gabriele e Achille; i «Fergola», con il capostipite Luigi, i due figli Salvatore e Alessandro, e Francesco, figlio di Salvatore; i «Witting» con Teodoro, incisore, consuocero di Giacinto Gigante e soprattutto suo figlio Gustavo. Infine i «Gigante» con Giacinto, Gaetano (padre di Giacinto), Emilia, Achille ed Ercole. E proprio alla morte del Pitloo, Giacinto Gigante prese per alcuni anni le redini della scuola, diventandone, con le sue atmosfere luminose rese quasi liquide, anche grazie alla tecnica dell'acquarello, uno dei maggiori interpreti.[2]
Nella sua prima formazione la scuola si rifece al paesaggio di ascendenza pittoresca, ma puntando soprattutto sui valori lirici e caricando i paesaggi di umori romantici. La pittura di paesaggio, considerata un genere minore, paradossalmente proprio per questa «disistima» poteva godere di maggiore libertà rispetto agli altri generi, liberandosi dai vincoli accademici e dimostrando un sollecito aggiornamento alle tendenze europee; sarà infatti proprio la scuola di Posillipo ad essere maggiormente influenzata dagli artisti stranieri presenti a Napoli, soprattutto William Turner, presente in città tra il 1819 e il 1828, con la forza della sua luce, ma anche Camille Corot, rappresentante del nuovo paesaggio francese della Scuola di Barbizon, l'austriaco Joseph Rebell, interprete di un paesaggio luminoso, Johan Christian Dahl, autore di vedute napoletane di vivace espressività e infine il belga Frans Vervloet, rilevante soprattutto nella fase formativa della scuola.[2]
Dalla scuola, che fu molto apprezzata anche da Giovanni Marchini e Antonio Ghisu, presero le mosse Achille Vertunni, i fratelli Palizzi: Filippo, Giuseppe, Nicola e Francesco Paolo, Federico Spedaliere e Achille Carrillo. La seconda fase della scuola, posteriore agli anni trenta del secolo, vive però una certa ripetitività di schemi e l'accentuarsi di un gusto in qualche modo oleografico, un'eredità che sarà raccolta dalla cartolina illustrata, da artisti come Guglielmo Giusti ed Alessandro La Volpe.]
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