auto antiche e moderne

venerdì 22 dicembre 2017

Monet a Le Havre


dalle  rovine polverizzate di 10.000 edifici ecco le costruzioni rinate 



Le Havre è l'unica città la cui architettura moderna è inserita nel Patrimonio Mondiale dell'UNESCO per il suo centro città.
Il più grande architetto del XX secolo,Auguste Perret fu "un vero poeta del cemento"visionario egli riusci a dare un nuovo  volto a una città distrutta dalla Seconda guerra mondiale. Reinventò una città unica dall'architettura epurata,applicando i principi del classicismo strutturale, unendo l'utilizzo del cemento armato a uno stile classico. L'architettura fa risaltare la luce,questa luce così particolare,che ispirò a Claude Monet , l'Impression Soleil Levant, dipinto a Le Havre nel 1872
Un quadro che diede  il nome al suo movimento impressionista.




I  quadri dei pittori impressionisti venivano sistematicamente rifiutati dai Saloni ufficiali. Alcuni giovani pittori decisero quindi di autopromuovere una loro esposizione. Nel 1874 questi pittori – Claude Monet, Auguste Renoir, Camille Pissarro, Alfred Sisley, Edgar Degas e Paul Cezanne – si unirono in società e realizzarono una loro mostra presso lo studio del fotografo Nadar. A questo gruppo gli artisti diedero il nome di: «Società anonima di pittori, scultori, incisori». Il nome «Impressionisti» fu loro dato dal critico francese Louis Leroy che coniò il termine con intento dispregiativo. E il nome derivava proprio dal titolo di questo quadro dipinto da Claude Monet.
Esso è divenuto uno dei simboli della pittura impressionista. In questo quadro ci sono molti degli elementi caratteristici di questa pittura: la luce che svolge il ruolo da protagonista, il colore steso a tocchi e macchie, la sensazione visiva che fa a meno della definizione degli oggetti e delle forme, il soggetto del tutto casuale e al di fuori della ordinaria categoria di paesaggio.
Il quadro rappresenta uno scorcio del porto di Le Havre. L’immagine è colta all’aurora quando il sole inizia a filtrare attraverso la nebbia mattutina. Monet è del tutto indifferente a ciò che ha innanzi. Non ne cerca la riconoscibilità ma abbozza forme indistinte. Due barche sono solo due ombre scure, il cerchio del sole rimanda alcuni riflessi nell’acqua, un insieme di gru e ciminiere fumose si intravedono in lontananza.
Egli, tuttavia, è attento a registrare con immediatezza e verità solo l’impressione visiva che si coglie guardando una immagine del genere. Nella sua pittura esiste solo la realtà sensibile, ossia solo ciò che l’occhio coglie d’istinto: la luce e il colore. Alle forme e allo spazio egli è del tutto indifferente.
In questo quadro la sensazione, o meglio l’impressione, visiva è data dalla sintesi di luce e di colore. Ed è una sintesi che si basa sulla percezione istantanea.



 La registrazione che dà il quadro della percezione riguarda un attimo fuggente. Un istante dopo la visione può essere già diversa, perché la luce è cambiata e, con sé, anche la tonalità di colore che essa diffonde nella atmosfera. Ma rimane una sensazione, fatta di suggestioni ambientali e atmosferiche, che il pittore coglie come testimonianza del suo vedere e del suo sentire.
Da notare che, in questo quadro, benché poco evidente un ruolo essenziale lo svolge lo specchio d’acqua del porto. In moltissima parte della pittura impressionista, e di Monet in particolare, l’acqua svolge sempre un ruolo fondamentale. Essa riflette le immagini distorcendole. E il riflesso varia in continuazione. Questa visione tremolante che si coglie di riflesso nell’acqua è già una immagine impressionista per eccellenza. E permetteva ai pittori di rappresentare le immagini con una libertà di tocco, fatto in genere a tratteggi e virgole, che sintetizzano immediatamente la loro poetica dell’attimo fuggente.

Questo quadro è stato rubato nel 1985 dal Musée Marmottan di Parigi.
I 2 ladri erano Philipe Jamin e Youssef Khimoun; la loro impresa è costata 5 anni di fatica alle autorità, i quali, alla fine sono riusciti a ritrovare il quadro sano e salvo e poi, nel 1991, è stato esposto nuovamente al pubblico.


giovedì 21 dicembre 2017

Monet ad Etretat : Etretat e i suoi pittori




Monet passo' tutto l'inverno del1868 ad Etretat dipingendo "la porte d’Aval". Con il brutto tempo ed uno splendido paesaggio innevato,dipinge La pie.(la Gazza) oggi al museo d'Orsay Parigi.
( In questa opera, “ La gazza“, il paesaggio è il protagonista assoluto, mentre la gazza posta a sinistra del dipinto è solo una nota in un paesaggio immerso nel bianco della neve. Il dipinto, benché respinto dalla critica dell’epoca, in realtà lo si può considerare una sorta di manifesto del paesaggio impressionista. Monet, uno dei più importanti pittori del movimento, apre un capitolo dell’Impressionismo prima ancora che il movimento raggiunga la sua compiutezza e lo fa con un dipinto apparentemente semplice. Luce, sole, ombre,  sfumature del bianco, tutto dipinto con pennellate lievi che rendono l’opera quasi liquida, come se si vedesse la mobilità della neve, che impercettibilmente si scioglie al sole.
  http://elioarte.blogspot.it/2013/08/parigi-museo-dorsay.html)
L'amico Courbet, invece, realizza la sua celebre serie sulle onde, usate per la prima volta come motivo in sé.
Maupassant, vedendoli lavorare sul motivo, difende con passione "coloro che perseguono la verità fino a qui inosservata".

 Nel 1880 Monet ritorna spesso ad Etretat ed alloggia all'Hôtel Blanquet, dal quale dipinge alcuni dei suoi capolavori.

Caillebotte dipinge Le père Magloire sur le chemin de Saint-Clair à Etretat (Padre Magloire sulla strada tra Saint-Clair ad Etretat)
e Boudin, giunto oramai al tramonto della sua vita, produce opere luminose sotto ogni aspetto.
                                        gelata bianca a giverny
                                                         
I mucchi di fieno o I covoni è il titolo di una serie di quadri impressionisti dipinti da Claude Monet. Il nome si riferisce in termine stretto, ai venticinque dipinti iniziati dopo il raccolto di fine estate 1890 e continuato fino ai primi mesi del 1891. 

    mercoledì 20 dicembre 2017

    La cattedrale di Rouen di Claude Monet- Impressionismo francese


    La bellissima cattedrale di Rouen è stata uno dei soggetti che il maestro dell'Impressionismo Claude Monet ha dipinto più volte.
    Monet ha creato una serie di dipinti chiamata "La Cattedrale di Rouen" composta da 31 tele, realizzate tra il 1892 e il 1894, prendendo in considerazione 5 punti di vista: 2 dalla piazza della Cattedrale e 3 dalle diverse stanze di un appartamento che affittò al secondo piano di un edificio di fronte alla facciata ovest della Cattedrale (l'edificio, il Bureau de Finances è oggi sede dell'ufficio del turismo).
    Dipinge le tele tenendo conto delle influenze che la luce ha su uno stesso soggetto, nelle varie ore del giorno e nelle varie stagioni e condizioni climatiche. Il soggetto perde il suo valore di protagonista per lasciarlo alla luce e ai colori.
    Monet dipinse più tele contemporaneamente per poter cogliere quei pochi istanti di luci e atmosfere che desiderava fissare, donando la vita ad un soggetto altrimenti inanimato.
    I colori sono il blu del mattino, i toni del marrone e del grigio per le giornate nuvolose e l'ocra e l'oro per rappresentare la Cattedrale in pieno sole, creando immagini congiunte di luce e colore.


    serie di "Cattedrali" Monet -Museo d'Orsay

    Chi volesse vedere alcuni di questi quadri in Francia, si deve recare al Museo d'Orsay a Parigi, di cui ho già parlato nei miei post .

    http://elioarte.blogspot.it/2013/08/parigi-museo-dorsay.html

    dal 19 ottobre 2017 al 11 febbraio 2018 il  Complesso del Vittoriano Ala Brasini  ROMA   ospiterà una mostra dedicata a Monet
    biglietti € 15,00 audioguida inclusa


    lunedì 11 dicembre 2017

    La natività nell'arte.

    foto elioarte
    La Verna, Chiesa di S. Maria degli Angeli. Altare di sinistra. 
    "Natività di Gesu". 1490 circa - Cm 190x192
    Terracotta policroma attribuita ad Andrea della Robbia e Luca della Robbia "il giovane" Ai lati del Bambino da sinistra, San Fracesco, la Vergine. San Giuseppe, Sant' Antonio da Padova. In basso, San Ludovico da Tolosa, San Girolamo, la Vergine, Gesù, San Giovanni Evangelista, San Bernardino da Siena e San Bonaventura. 

    Pietro Perugino

    Collegio del Cambio Perugia  affresco datato tra il 1497 e 1.500
    altezza cm 264 larghezza 225


    Natività di Gesù di Giuliano Presutti 1521  Gubbio La cattedrale Duomo di Gubbio
    "foto elioarte"

    BUON NATALE A TUTTI
    2017

    lunedì 13 novembre 2017

    La brigantessa di Palmi

    Trovo veramente interessante  pubblicare questo articolo di Giuseppe Antonio Martino sul "brigantaggio in Calabria" che non era il padre della 'ndrangheta, ma l'esasperazione delle misere condizioni di vita della classe dei contadini e dei pastori che non avevano opzioni diverse: morire per fame o farsi giustizia con le proprie mani visto che dalle istituzioni nessun progresso veniva  somministrato.


    Non è raro che nel linguaggio comune l’appellativo di brigante sia erroneamente ritenuto sinonimo di bandito ma, come afferma Francesco Saverio Nitti nei suoi Scritti sulla questione meridionale (Bari, 1958, pag. 44), “per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa. Le rivolte dei briganti, coscienti o incoscienti, nel maggior numero dei casi ebbero il carattere di vere e selvagge rivolte proletarie” e si verificarono sempre in periodi storici caratterizzati da squilibrio sociale e politico. In Italia, con il termine brigantaggio si indica oggi la rivolta antisabauda e antiunitaria che interessò i territori meridionali immediatamente dopo l’unificazione della penisola italiana e che venne repressa, colpendo non solo i presunti e veri briganti, ma anche i sospettati di manutengolismo con i briganti, con l’applicazione della legge speciale 15 agosto 1863 n. 1409, detta Legge Pica, rimasta in vigore fino alla fine del 1865.

    Il fenomeno, però, non era nuovo nell’Italia meridionale: già tra il XV e il XVI secolo, gli strati bassi della popolazione e gruppi di contadini, oppressi dal fisco e angariati dai padroni, in Calabria e in Abbruzzo, come in altri territori dominati dalla Spagna, si erano dati alla macchia e nel XVIII sec., oltre che nella rivolta delle plebi contro i proprietari terrieri, il brigantaggio si era manifestato, nel 1799, contro i francesi ed i loro sostenitori locali.

    In quell’occasione i capipopolo sanfedisti riuscirono a porre fine alla Repubblica Napoletana e permisero ai Borbone, che promossero molti briganti al grado di colonnello dell’armata regia, di riconquistare il Regno di Napoli, destinato però a tornare in mano francese nel 1806.

    Durante il dominio napoleonico il malcontento, diffuso in moltissime zone del sud della penisola, anche se i moti arano stati scongiurati e repressi dalla massiccia presenza dell’esercito, trovò espressione nel brigantaggio, che divenne vera e propria guerriglia popolare, alimentato dai Borbone che, dalla Sicilia, miravano alla riconquista del Regno.

    Proprio durante il decennio della dominazione francese, e precisamente tra il 1807 e il 1812, sui piani della corona, l’ultimo contrafforte occidentale dell’Aspromonte, tra i territori di Palmi, Seminara, Melicuccà e Bagnara, in provincia di Reggio Calabria (cfr. Giuseppe Silvestri Silva, Memorie storiche della città di Palmi, Genova,1930), si sono svolte le drammatiche vicende delle quali è stata protagonista Francesca La Gamba, la prima brigantessa di età moderna, come la definisce Valentino Romano nel suo volume Brigantesse (Napoli, 2007, pag. 28), che hanno ispirato il romanzo storico La capitanessa dei piani della Corona di Attilio Foti (Cosenza, 2002).

    Francesca aveva coronato il suo sogno di amore, ancora diciottenne, con Saverio Saffioti, anche lui di Palmi, sua città natale, ma rimasta vedova ancora giovane con due figli, Carmine e Domenico, dopo aver sposato in seconde nozze Antonio Gramuglia, si era trasferita a Bagnara dove era nata Rosa, la terza figlia. Anche se già provata dalle sofferenze, quando l’esercito Francese invase il suo paese, aveva 38 anni e sognava ancora una vita piena di soddisfazioni, ma doveva ancora sperimentare che dignità e onore si pagano a caro prezzo: un delinquente, già ricercato dalla polizia borbonica, che nel ’99 aveva ottenuto i gradi di ufficiale dal Cardinale Ruffo e che all’arrivo dei francesi si era arruolato nella milizia civile si invaghì di lei. Quando, tronfio della sua arroganza e forte della divisa che indossava, cominciò ad insidiarla con accanimento, non accettò di essere da lei energicamente respinto e organizzò la più crudele delle vendette: accusò ingiustamente di attività clandestina contro i francesi i due figli maschi ancora adolescenti, che furono processati e condannati alla fucilazione, dopo aver fatto arrestare, con l’accusa di girare armato, Antonio Gramuglia che, qualche giorno dopo l’esecuzione dei due ragazzi morì di rabbia e di dolore.







    L’irrefrenabile voglia di vendetta spinse Francesca ad unirsi ad una banda di briganti che aveva stabilito il suo quartiere generale sui piani della Corona, non lontano del tracciato dell’antica via Popilia, e che fino ad allora, a parte qualche scaramuccia con i francesi, si era limitata ad assaltare le diligenze al “passo di Caracciolo”, un luogo rimasto nella storia proprio per quelle imprese banditesche. Combattendo accanto ai briganti con coraggio, la donna meritò la loro ammirazione, tanto da diventare molto presto la capobanda e dare alle azioni dei suoi compagni una carica ideale che trovava ispirazione nella necessità di combattere i francesi oppressori.

    All’arrivo in Calabria del Principe Luigi d’Assia, che tentava, nel 1807, la riconquista della parte continentale del regno dei Borbone, Francesca non ci pensò due volte, offrì al nuovo arrivato l’aiuto della sua banda e, il 28 maggio di quell’anno, partecipò alla battaglia di Mileto, dopo la quale un centinaio dei suoi briganti divennero soldati dell’esercito borbonico e pare che lei stessa sia stata nominata capitano.

    Fu proprio durante uno scontro con i francesi che Francesca riuscì a mettere in atto il suo proposito di vendetta: lei e i suoi compagni, accerchiati gli avversari che erano alla loro ricerca sui piani della Corona, riuscirono a mettere in atto una controffensiva e catturare molti prigionieri, tra cui l’ufficiale che l’aveva insidiata e che aveva fatto giustiziare i suoi figli.

    Lo storico Vittorio Visalli, in I Calabresi nel Risorgimento italiano – Storia documentata delle rivoluzioni calabresi dal 1799 al 1862, Torino 1893 (vol.I, pagg.124-125), solo alcuni decenni dopo quei tristi avvenimenti, affermava che Francesca, trovatasi quell’uomo ferito davanti agli occhi, come in un melodramma, “lo scanna, gli strappa il cuore e lo divora ancor palpitante”.

    Pare che l’ultimo combattimento contro i francesi durante il quale “si segnalò per valore la capitanessa di Palmi” sia stato l’assedio di Genova, nel 1812: Le cronache non dicono altro e di Francesca La Gamba non si seppe più nulla, né ci è dato sapere se la sua efferatezza sia solo il frutto della fantasia popolare. Certo è che la sua vicenda, anche se colorita dal mito, racchiude le ragioni che hanno spinto una tranquilla madre calabrese, che ha assistito alla distruzione della sua famiglia ad opera di oppressori stranieri, a trasformarsi nella personificazione della vendetta. Nel 1925, dopo la ricostruzione di Palmi distrutta dal terremoto del 1908, qualcuno propose di intitolare una via della città natale alla brigantessa dei piani della Corona, ma quella proposta fu scartata perché ritenuta indecorosa ed il suo nome è rimasto avvolto dalla leggenda.

    Qualche decennio più tardi dei fatti che l’hanno visto protagonista, altre popolane meridionali che, come afferma Valentino Romano, la storiografia ha ingiustamente bollato come “drude”, donnacce, trascurando di considerare il loro ruolo di donne guerrigliere contro la conquista del Sud, per amore di un uomo o spinte dalla prevaricazioni dei conquistatori, scelsero la via del brigantaggio e scrissero pagine piene di odio e di amore che i governi succedutisi in più di cento cinquanta anni hanno cercato di far dimenticare.

    Giuseppe Antonio Martino

    domenica 29 ottobre 2017

    ll tramonto del giorno 29 ottobre fotografato in due località Varese e Milano




    Fenomeno dello SCATTERING
    Al tramonto i raggi solari attraversano una porzione di atmosfera maggiore. Con l'alta pressione nei bassi strati abbiamo maggior ristagno nei bassi strati atmosferici di particelle sottilissimi (PM10-PM2.5) Quest'ultime riescono così a disperdere  nell'atmosfera, appunto attraverso lo scattering,alcune delle lunghezze d'onda più lunghe ,il rosso e l'arancione.


    Le foto  scattate a Varese sono della dott.ssa Magnani Laura






    venerdì 13 ottobre 2017

    Curiosità in Val Gardena -Il presepe più grande del mondo.-





    Il presepe più grande del mondo, realizzato da un gruppo di 18 scultori  è  a  S. Cristina di Val Gardena . La prima figura del progetto, avviato nel 1988, è stata la Madonna con il Bambino. Sono stati quindi realizzati S. Giuseppe, i Re magi, un pastore, l'asinello, tre pecore, l'angelo e un cammello, tutti frutto di una grande creatività, abilità e senso artistico. Il presepe si arrichisce di ogni anno di nuove figure.