auto antiche e moderne

sabato 30 aprile 2011

Maggio-L'amicizia











Gli amici sono le corde di una cetra che, se tutte intonate tra di loro,
producono al tocco
una musica piacevolissima...
Neppure le ricchezze più vistose
si possono paragonare ad una
salda amicizia.
Le stelle irradiano la luce all’intorno; gli amici, dove giungono, portano gioia e bene.
E’ meglio vivere nelle tenebre
che mancare di amici...
L’amicizia possiede anche la facoltà di ospitare nel nostro cuore
la memoria degli assenti
e ce li fa tanto desiderare
da renderci, vicini a loro
e lontani da tutte le cose vicine.

San Giovanni Crisostomo

lunedì 25 aprile 2011

Georg Friedrich Haendel


Georg Friedrich Haendel nacque nel 1685 a HaIle (Sassonia); fu avviato dal padre agli studi giuridici, che proseguì sino all’università, alternandoli a quelli musicali. A 18 anni si recò ad Amburgo, dove lavorò come violinista d’orchestra e fece conoscere le sue prime composizioni teatrali.
Attratto dall’ambiente musicale italiano, fu successivamente a Napoli, a Firenze, a Roma e a Venezia, dove ottenne significativi successi.
Nel 1710 ottenne la carica di maestro di cappella alla corte di Hannover e iniziarono i suoi contatti con l’Inghilterra, dove si stabilì nel 1714. Qui, grazie anche all’appoggio del re Giorgio I, divenne uno dei protagonisti della vita musicale e introdusse il gusto per l’opera seria, o italiana, che riscosse notevoli successi a Londra per molti anni. Assunta la direzione di un teatro, trionfò con lavori quali Giulio Cesare e Serse, che mostrano una profondità di espressione, ignota all’opera seria del tempo.
Nel 1741, amareggiato dai successi delle nuove compagnie italiane e della ballad opera inglese, Haendel abbandonò il teatro. Da allora intensificò la produzione di oratori biblici, ampi arazzi sonori di gusto molto teatrale, stilisticamente eclettici ma di intenso potere evocativo, quali il grandioso "Il Messia", eseguito la prima volta a Dublino nel 1741.
Di grande valore anche la produzione strumentale, spesso musica d’occasione, di tono fastoso e ridondante, vero, specchio della società del tempo: i Fuochi d’artificio, la Musica sull’acqua e i suoi sontuosi “concerti grossi” recano nella concezione strumentale un respiro e una vastità di proporzioni assolutamente nuovi.
Nel 1751, colpito da cecità, Haendel cessò di comporre, confortato fino alla morte dalla stima del mondo nusicale. Si spense a Londra nel 1759.

giovedì 14 aprile 2011

Friedrich Nietzsche.



Friedrich Nietzsche


Tra i maggiori filosofi occidentali di ogni tempo, Nietzsche ebbe un'influenza articolata e controversa sul pensiero filosofico e politico del Novecento. La sua filosofia è considerata da alcuni uno spartiacque della filosofia contemporanea verso un nuovo tipo e stile di pensiero, ed è comunque, oggetto di divergenti interpretazioni.

In ogni caso si tratta di un pensatore unico nel suo genere, sì da giustificare l'enorme influenza da lui esercitata sul pensiero posteriore, ed è generalmente considerato l'antesignano dell'esistenzialismo , indirizzo che si è espresso non solo nella filosofia, ma che ha trovato ampio e significativo spazio anche nella letteratura, nelle arti e nel costume.

Una variante cristiana dell'esistenzialismo è quella del filosofo russo Nikolaj Aleksandrovic Berdjaev (1874 -1948 ) , ispirata alla sua profonda fede Ortodossa e alla narrativa di Dostoevskij, al quale fa riferimento il suo saggio del 1923 La concezione del mondo di Dostoevskij.
Per Berdjaev la figura di Gesù Cristo è al centro di ogni speculazione sull'essenza del vivere in rapporto all'immanenza e alla trascendenza.

Ritornando dunque alla particolarità del pensiero di Nietzsche, la sua unicità, ha sempre generato nella critica degli interrogativi
La sua filosofia, infatti, è in bilico tra la negazione totale della cultura e del pensiero e la creazione di un nuovo sistema di valori, incentrati sulla figura dell'Oltreuomo, sull'eterno ritorno e sulla volontà di potenza. Nietzsche, infatti, voleva senza dubbio eliminare il campo da ogni "mito", che appartenesse alla morale religiosa (da lui definita "morale dei vinti") o alla filosofia, con i miti laici di progresso, razionalismo, positivismo e idealismo.
Ecco che il Cristianesimo assume in Nietzsche un valore assolutamente negativo. Il filosofo, infatti, vede nella morale cristiana la negazione della vita ". La sua filosofia nasce anche come negazione di questa morale, ben descritta dalla "morte di Dio", dove "Dio" non è da intendere esclusivamente come la divinità personale, ma anche come il sistema di idee proprie anche del Cristianesimo.
Tuttavia è lecito domandarsi se questa volontà distruttrice dei valori sia solo fine a se stessa, frutto di un orientamento nichilista o sia la base necessaria da cui far partire la creazione di un nuovo sistema di valori.
Il pensiero di Nietzsche, se da un lato è la negazione di quelle correnti di pensiero basate sull'ottimismo metafisico e deterministico dell'idealismo hegeliano è anche contro l'ottimismo.
La sua filosofia, infatti, rifiuta ogni passiva accettazione della realtà, sia nel senso del "tutto è bene" hegeliano e sia quella del "tutto progredisce" positivistico e neppure il "tutto è sofferenza", di Schopenhauer. Essa, rivela piuttosto una sorta di titanismo romantico ma in una nuova Weltanschauung (concezione del mondo propria di un individuo, di un popolo o di un'epoca storica), che è post-romantica.
Riteniamo dunque utile ricordare in questo nostro post la mistica del superuomo nel “ Così parlo Zarathustra”
¬¬¬¬--- Quando Zarathustra giunse nella più vicina città, situata al confine della foresta, vi trovò molta folla adunata sul mercato: poiché era giunta notizia che un funambolo vi avrebbe dato spettacolo. E Zarathustra così parlò al popolo:
"Io vi annunzio il Superuomo. L'uomo è qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete voi fatto per superarlo?
Ogni essere sinora ha creato qualcosa sopra se stesso: e voi volete essere il riflusso di questo gran flusso e ritornare alla bestia, anziché superare l'uomo?
Che cosa mai è la scimmia per l'uomo? Una risata, una penosa vergogna. Questo deve essere l'uomo per il Superuomo: una risata, una penosa vergogna.
Finora avete percorso la via che va dal verme all'uomo, e molto è in voi ancora verme. Una volta eravate scimmie, e anche oggi l'uomo è più scimmia di qualunque scimmia.
Chi tuttavia è fra voi il più saggio, non è che un essere disarmonico, un ibrido fra la pianta e il fantasma. Vi dico io forse di divenire piante o fantasmi?
Ascoltate, io vi insegno il Superuomo!
Il Supenuomo è il senso della terra. E così il vostro volere dica: il Superuomo deve essere il senso della terra!
Vi imploro, o miei fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Sono degli avvelenatori, consapevoli o meno: Sono spregiatori della vita, gente che sta morendo, avvelenati essi stessi da se stessi: la terra è stanca di loro: possano per sempre scomparire!
Una volta il crimine contro Dio era il più grande peccato; ma Dio è morto, e con lui sono morti anche i colpevoli di quel crimine. Oggi la colpa più orribile è peccare contro la terra, e tenere in più alto pregio le viscere dell'impenetrabile che, il senso della terra!
Una volta l'anima guardava con dispregio il corpo: e questo dispregio era il più alto valore: essa lo voleva magro, orrido, affamato. Così immaginava di sfuggire al corpo e alla terra.---

martedì 12 aprile 2011

SAFFO Poetessa Greca


L”ode della gelosia “ SAFFO

Mi sembra che sia simile ad un dio
quell’uomo che ti sta seduto a fronte
e che ti ascolta tanto da vicino,
voce soave,
riso d’amore dolce sorridente;
e questo mi sconvolge il cuore in petto:
non appena ti guardo, sull’istante
manca la voce,
la lingua mi si spezza; per le membra
fuoco sottile corre all’improvviso,
nulla più vedo e sento nelle orecchie
rombare il sangue;
freddo sudore tutta mi pervade,
un tremito mi prende e più dell’erba
divento verde; e sento in me che sono
già quasi morta;
ma tutto è tollerabile

I fratelli Induno- Domenico e Gerolomo

Il richiamo di Garibaldi di Domenico Induno 1854




Girolamo Induno (1827-1890) La filatrice- The spinner - Die Spinnerin- La filandière
(Genova.Galleria d'Arte Moderna)




I fratelli Induno
Domenico e Gerolamo Induno


La corrente dei macchiaioli é del tutto Made in Italy. Si può dire che essa costituisca la variante pittorica del Verismo, movimento letterario di cui, sicuramente, ricorderemo Giovanni Verga con i suoi Rosso Malpelo, I Malavoglia e la Storia di una Capinera.

Il leitmotiv dei Macchiaioli era il Patriottismo tradotto in paesaggi a campo aperto, vedute di campagna, in cui il punto non esisteva, ma solo macchie di colore.

Questo approccio all’arte nacque in Toscana, tra l’altro il primo stato a credere nell’Italia unita e la culla della Lingua Italiana, dove si stavano rifugiando, man mano, tutti i patrioti lombardi, tra i quali D. Induno.

Domenico Induno (Milano 1815 – 1878), fortemente influenzato dall’espressività romantica dei dipinti del contemporaneo F. Hayez, sull’onda degli eventi risorgimentali, dipinse un quadro che intitolò “Il Richiamo di Garibaldi” (42,4x53cm – olio su tela – 1854 – Collezione Bentivegna).



I personaggi di questa composizione molto semplice, basata su giochi di diagonali, spiccano sullo sfondo impolverato grazie alla sapiente calibratezza tra colori vividi e puri, quelli del Tricolore. E’una scena famigliare di donne e bambini che restano a casa e di uomini che partono in guerra.

Il quadro costituisce uno spaccato sulla vita dell’Italiano medio del tempo.

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Gerolamo Induno Milano, 13 dicembre 1825 – 18 dicembre 1890) è stato un pittore e patriota italiano.

Fratello minore di Domenico, frequenta l’Accademia di Brera dove, dal 1839 al 1846 è allievo di Luigi Sabatelli.
A Firenze si arruola come volontario sotto il comando del generale Giacomo Medici, con il quale partecipa alla difesa di Roma, assediata dai francesi, ed esegue numerosi schizzi e riprese dal vero.
Arruolatosi nelle file garibaldine si conferma definitivamente quale interprete ufficiale dell’epopea risorgimentale, sia per le tematiche di carattere ufficiale sia per quelle in cui il motivo patriottico declina nei modi della pittura di genere .



Dal 1854 al 1855 partecipa alla campagna di Crimea nel corpo dei bersaglieri di Alessandro La Marmora e, in qualità di pittore-soldato, esegue disegni, studi e resoconti per immagini che al ritorno in patria utilizza per quadri molto apprezzati dalla critica e dal pubblico per i sentimenti patriottici espressi (La battaglia della Cernaia, commissionato da Vittorio Emanuele II).

Alla fine del decennio il clima di inquietudine e di instabilità di quel momento storico, influenza il suo modo di dipingere, che predilige soggetti di gusto neosettecentesco, molto richiesti dalla committenza, realizzati con una pennellata quasi virtuosistica.

Nel 1855 partecipa insieme al fratello all’Esposizione Universale di Parigi dove ottiene l’ammirazione della critica; a Milano e a Firenze espone opere esemplicative della sua versatilità, dal ritratto alla veduta, al tema di genere.

martedì 5 aprile 2011

Selene ed Endimione



Scuola Emiliana secolo XVIII  olio su tela     cm.253  x cm.  184
dipinto della Galleria Elioarte  ceduto  nell'asta  Sothebys del 17 novembre 2008

Selene è la personificazione della Luna piena.
La dea viene generalmente descritta come una bella donna con il viso pallido, che indossa lunghe vesti fluide bianche o argentate e che reca sulla testa una luna crescente ed in mano una torcia.
Un mito che la riguarda è quello dell'amore per Endimione, re dell'Elide. Con lui ebbe una relazione dalla quale nacquero cinquanta figlie.
Questa storia romanticissima e un po' triste,è iniziata il giorno in cui Selene vide in una grotta un giovane addormentato, Endimione, e se ne innamorò perdutamente.
Ne nacque un grande amore, che diede la luce a ben cinquanta figlie; ma Selene non sopportava l'idea che un giorno il suo amante potesse morire, e lo fece sprofondare in un sonno eterno per poi andare a trovarlo ogni notte.
Endimione dormiva con gli occhi aperti, per poter vedere l'apparizione della sua donna.
Altre versioni meno romantiche della storia sostengono che Endimione avesse chiesto a Zeus di dormire per non perdere la sua giovanile bellezza, o addirittura per evitare che Selene rischiasse un'ulteriore gravidanza!
Selene comunque non perde il suo fascino di personificazione della Luna, che regala un po' di luce alla notte e un po' di sogno alla realtà.

Angelo Inganni Il pittore bresciano nella Milano romantica.

Contadino che accende la candela con un tizzone (collezione Intesa San Paolo)


Il trasporto della neve

La vinificazione
I personaggi vivaci hanno aspetto caricaturale, vi è contrasto di tinte ed impasti.


Angelo Inganni, nasce a Brescia nel 1807,le sue prime esperienze nella pittura iniziano nella bottega del padre , unitamente al fratello Francesco.Nel 1833 frequenta l’Accademia di Brera dove avrà come maestro Giuseppe Magliara. Diviene uno dei più ricercati vedutisti, si ispira a scene di vita contadina e a rappresentazioni di vita notturna. Espone a Milano e a Brescia e nel 1854 a Parigi. Si dedica anche all’affresco nelle chiese di San Marco e San Carlo al Corso Viene definito pittore bresciano nella Milano romantica. Nel 1856 sposa in seconde nozze la pittrice Amanzia Guérillot, sua allieva, e nel 1860 torna a vivere stabilmente a Brescia. presente in mostre milanesi nel 1874 con sue vedute di Milano e di Brescia ,muore a Gussago nel 1880 mentre sta lavorando ad un dipinto per il monumento delle Cinque Giornate.

sabato 2 aprile 2011

Il calendario - Aprile - Il Calendario Romano

Ogni giorno, un contadino portava l'acqua dalla sorgente
al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa
dell'asino,che gli trotterellava accanto. Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua. L'altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia. L'anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l'anfora nuova non perdeva l'occasione
di far notare la sua perfezione:
"Non perdo neanche una stilla d'acqua, io!". Un mattino, la vecchia anfora si confido con il
padrone:"Lo sai, sono cosciente dei miei limiti.
Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia. Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota.
Perdona la mia debolezza e le mie ferite". Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all'anfora screpolata e le disse:
"Guarda il bordo della strada". "Ma e' bellissimo! Tutto pieno di fiori!" rispose l'anfora. "Hai visto? E tutto questo solo grazie a te"
disse il padrone. "Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada.
Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e
li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo
e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno". La vecchia anfora non lo disse mai a nessuno, ma quel giorno si senti l'anfora più bella che ci fosse mai stata...

Il calendario romano
Secondo la tradizione fu Romolo,il mitico fondatore di Roma, a stabilire le regole del calendario primitivo, dividendo l’anno in dieci mesi e chiamando il primo Martius, da suo padre Marte, il secondo Aprilis, dall’aprirsi (aprire) dei germogli delle piante. il terzo Maius da Maia, la madre di Mercurio, il quarto Junius da Giunone e gli altri più semplicemente dal loro numero progressivo .Quintilis , Sextilis , September, October, November,December.

Il re Numa aggiunse a questi altri due mesi: Januarius, dal dio Janus, e Februarius, dal sacrificio di espiazione (Februalia) che si faceva al termine di ogni anno.

In seguito il mese Quintilis fu detto JuIius in onore di Giulio Cesare. Il Sextilis fu detto Augustus in onore di Ottaviano Augusto. il primo imperatore.

L’anno romano iniziava il 15 marzo e soltanto nel 153 a.C. fu portato al primo gennaio, in seguito a ciò mesi come September, October etc., in origine, come indica il nome, il settimo e l’ottavo, vennero ad essere in effetti il nono e il decimo come sono tuttora.


Nel calendario romano tre giorni determinati di ciascun mese avevano nomi particolari le “calende’ (Kalendae. da cui Kalendarium. che cadevano il primo giorno del mese, le none” Nonae. che cedevano il quinto giorno e le “idi” (Idus), che cadevano il tredicesimo giorno.

Nei mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre le none e le idi cadevano due giorni dopo, cioè il 7 e il 15.

Per indicare i singoli giorni dell’anno, i Romani prendevano come punto di riferimento queste date fisse, così che il giorno precedente le calende, le none o le idi era indicato con pridie (cioè "il giorno prima”ad es. Pridie Kalendas Ianuarias era il 31 dicembre) mentre gli altri giorni si ottenevano calcolando quanti giorni mancavano ad arrivare alla data fissa più vicina, compreso il giorno di partenza e il giorno di arrivo.

Una data come il dieci settembre, che cadeva quattro giorni prima delie idi del mese, si indicava dunque come ante diem quartum Idus Septembres. comunemente abbreviato in a.d. IV Id.Sep.o, ancora più semplicemente. IV Id.Sept. sottintendendo il resto.


L’anno romano primitivo era di soli 355 giorni: per rimediare allo squilibrio tra l’anno formale e l’anno reale ogni due anni, sempre per iniziativa di re Numa, si intercalava un mese di 22 o 23 giorni, detto mensis intercalaris, o marcedonius. Questo espediente non bastò tuttavia ad impedire che progressivamente si venisse e creare un discreto disordine nel computo del tempo tanto che i mesi non corrispondevano più alle stagioni effettive.

Per porre rimedio a questa situazione nel 46 a.C. Giulio Cesare, affidandosi ai calcoli dell’astronomo alessandrino Sosigene, riformò il calendario, assegnando ai mesi lo stesso numero di giorni che hanno adesso e stabilendo che il mese di febbraio ogni quattro anni fosse di 29 giorni (cioè bisestile).

Anche questa riforma tuttavia non era perfetta:l’anno effettivo infatti non è di 365 giorni e sei ore ( come voleva la riforma giuliana), ma di 365 giorni cinque ore 48 primi e 46 secondi: l’aggiunta di un giorno ogni quattro anni era dunque leggermente eccessiva, e alla lunga si rivelò sensibile.

A questo pose rimedio l’ultimo riformatore del calendario, Gregorio XIII, che. fondandosi sui calcoli dell’astronomo Luigi Lilio, nel 1582 soppresse dieci giorni di troppo che si erano accumulati nel corso dei secoli.

La riforma gregoriana manteneva gli anni bisestili, escludendone però gli anni di fine secolo (1800. 1900...), eccetto quelli divisibili per 400. Il 1900 dunque non è stato anno bisestile, mentre lo è stato il 2000.