auto antiche e moderne

martedì 28 aprile 2020

Vittore Carpaccio

Vittore Carpaccio, detto talvolta anche Vittorio, è stato un pittore italiano, cittadino della Repubblica di Venezia. Fu uno dei protagonisti della produzione di telerie  a Venezia a cavallo tra il XV e il XVI secolo, divenendo forse il miglior testimone della vita, dei costumi e dell'aspetto straordinario della Serenissima in quegli anni.     



Il dipinto è stato riconosciuto come la parte inferiore della tavola dellaCaccia in  Laguna    (separate almeno prima del XIX secolo), chiarendo l'iconografia di entrambe le parti. L'opera mostra infatti un brano di vita quotidiana, delle donne che aspettano sedute in una terrazza, mentre gli uomini sono a caccia in laguna. Il vaso che si vede a sinistra ha il fiore troncato, che si ritrova, fuori scala, nell'altro pannello. L'identica grana del legno ha poi confermato l'ipotesi. Le cerniere e la chiusura presenti nella parte superiore del pannello suggeriscono che sia stato usato come otturatore decorativo per una finestra o come sportello di uno stipo. Sul retro infatti si trova una rappresentazione di oggetti appesi a Trompe- l'Oile
La tavola delle due dame veniva in genere datata a dopo il 1500 e aveva riscosso un grande successo nell'Ottocento quando John Ruskin le aveva dato l'accattivante titolo delle Due cortigiane. Le due donne stanno in un sospeso ozio d'attesa entro il recinto marmoreo di una terrazza con motivi geometrici sul pavimento. I loro svaghi comprendono i giochi con due cani e l'osservazione di numerosi uccelli, quali una pavoncella, due tortore e un  pappagallino . Un paggetto si affaccia dal traforo della balaustra. Tra gli oggetti, indagati minuziosamente, si vedono un paio di sandali con la zeppa alta, i calcagnini, accessorio femminile dell'epoca, un vaso di maiolica con stemma araldico della famiglia veneziana Torella e uno di terracotta con un alberello di mirto 
Le due dame, ritratte di profilo, sono di età diversa, una più giovane e una più matura, e sono riccamente abbigliate nella tipica veste a vita alta, con scollatura ampia e maniche tagliate: nate per dare maggiore agilità ai movimenti del braccio, mettendo anche in mostra la preziosa camiciola sottostante, le maniche erano unite all'abito da lacci impreziositi da agugielli o aghetti. Gli abiti sono sobriamente decorati da perle, portate dalle novelle spose in segno di castità e rispetto verso il marito: le collane, a un solo filo, in rispetto delle leggi suntuarie, decorano i décolleté, mentre le acconciature sono simili, alla moda, con la crocchia dei capelli attorcigliata sulla testa e una frangia di riccioli dorati che incornicia il viso. La donna più giovane tiene in mano un fazzoletto, simbolo di purezza e pegno di bonus amor

I simboli

Gli oggetti presenti sulla scena hanno il preciso scopo di sottolineare la virtù delle dame, che siano nubili, spose o vedove: alla donna veneziana veniva richiesto un atteggiamento di continenza e modestia, in una società che aveva le sue radici nella famiglia e nella maternità.[3] Il matrimonio è richiamato dal mirto nel vaso a destra, pianta legata a Venere Venere e Maria, e dalle due tortore, che indicano un solido legame sponsale; anche l'arancia rientra nella simbolica matrimoniale, in quanto dono delle spose. La pavoncella è legata al concetto di fecondità della coppia sposata, mentre il pappagallo, solitamente associato a Maria per il suo verso "ave", riferito all'Annunciazione, qui simboleggia il destino della donna come sposa. I due cani, con il loro significato di lealtà e attenzione, tenuti dalla donna più anziana, sottintendono che a questa spetta il compito di custodire la giovane sposa e garantirne la rispettabilità. Il vaso di mirto, legato a Venere e a Maria Vergine, simboleggia il matrimonio, mentre il giglio, che si trova nella tavola del Getty, indica la castità e richiama il dono dell'ArcangeloGabriele  a Maria nell'Annunciazione.[4]

domenica 26 aprile 2020

Mario Sironi

 vita di Mario Sironi (1885-1961)
Mostra di Mario SironiMario Sironi, nato a Sassari il 12 maggio del 1885, è una degli artisti protagonisti del Novecento Italiano.

Un anno dopo la nascita di Mario, la famiglia Sironi si trasferisce a Roma dove il padre che lavora nel Genio Civile come ingegnere, viene trasferito; qui Mario compie gli studi elementari, medi e superiori, esprimendo presto una forte inclinazione per il disegno.

Dopo la maturità conseguita nel 1902, si iscrive alla facoltà di ingegneria a Roma, ma presto interrompe gli studi per dedicarsi alla pittura seguendo i corsi della Scuola Libera del Nudo presso l'Accademia di Via Ripetta e lo Studio di Giacomo Balla, dove strinse amicizia con Umberto BoccioniSeverini e Melli.

In questo primo periodo Mario Sironi si dedica al divisionismo, benché tenda ad accentuare una visione della pittura legata ai volumi piuttosto che a geometrie piane.

E' del 1905 il ritratto di "La madre che cuce", dove sono evidenti le suggestioni delle due tendenze pittoriche.



La salute del giovane pittore è piuttosto fragile è ammalato di nervi (psiconevrosi) e questo influisce anche sul rapporto con gli amici e soprattutto Boccioni con il quale però si sposta quando si trasferisce per alcuni mesi a Milano, Venezia e poi in Germani a Erfurt, ospite dello scultore Tannenbaum che aveva conosciuto al Caffè Aragno di Roma.

Tornato in Italia, aderisce al Futurismo che lo porta ad occuparsi dei temi legati alla civiltà urbana ed industriale ("Il camion", "Composizione con elica").

Nel 1914 nella Galleria "Permanente Futurista" a Roma, si tengono le prime mostre di questo movimento e Sironi è presente a quella chiamata "Esposizione libera futurista" (aprile- maggio), con una serie di sedici dipinti; lo stesso anno conosce la sua futura moglie, Matilde Fabbrini.

In questo periodo il pittore inizia a collaborazione ai periodici "La Tribuna: Noi e il mondo" e "La Tribuna illustrata"; trasferitosi a Milano collabora anche con la rivista "Gli Avvenimenti". e Marinetti lo inserisce fra i dirigenti del Futurismo, felice di aver potuto rimpiazzare l'uscita di Soffici con "un ingegno almeno cento volte superiore".

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale come tutti i Futuristi interventisti, si arruola volontario e finisce la guerra come sottotenente.

Nel 1919 lo stile di Mario Sironi accoglie temi metafisici, trattati in una maniera molto personale, con figure scolpite in vigorosi chiaroscuri ed i "paesaggi urbani" pur nella loro impostazione metafisica sono assolutamente brutali, nell’angoscioso realismo, nel senso di solitudine sopraffatto da un principio di volontà e ordine che rispecchia l'orientamento psicologico del pittore e, più avanti, la sua ideologia politica.

Sironi lavora molto e partecipa a esposizioni famose come la "Grande mostra futurista" a Palazzo Cova di Milano ed alla "Mostra italiana dell’Esposizione d’Arte Moderna" di Ginevra e, convinto sostenitore del partito fascista, diventa illustratore e grafico del quotidiano, organo del Partito Fascista, "Il Popolo d’Italia".

Nel 1922 fonda, nella "Galleria Pesaro" di Milano, il movimento "Novecento", o più propriamente, "Sette pittori del Novecento" in antagonismo con "Valori Plastici", ideato e promosso nel '18, Mario Broglio a Roma.
con l’omonima rivista.

In questi anni il pittore inizia ad orientare la sua arte verso una rivisitazione del classicismo greco e romano, con un occhio, come nel "La modella dello scultore" alle ombre e ai violenti chiaroscuri di Caravaggio; tra i suoi soggetti preferiti, oltre al paesaggio urbano, figurarono anche il nudo, il paesaggio alpestre e il ritratto.

Nel 1926, Sironi partecipa con altri 110 artisti alla grande mostra del "Novecento italiano", al Palazzo della Permanente di Milano che viene inaugurata, alla presenza di Mussolini.

La vita dell'artista prosegue fino al 1930 da una mostra all'altra e da un'esposizione all'altra anche all'estero, la sua fama si conferma e per allargare la sua visione artistica, collabora con l'architetto Muzio nella realizzazioni di grandi allestimenti e crea anche il manifesto del "Crepuscolo degli dei" di Wagner per la prima rappresentazione alla Scala di Milano.

Nel 1930 Sironi incontra Maria Alessandra (Mimì) Costa, giovanissima modella, graziosa e avvenente; è un grande amore a prima vista:l’ormai quarantacinquenne artista separa dalla moglie e decide di vivere con Mimì.

Questo nuovo amore porta nella pittura di Sironi nuova linfa e gioia di vivere.

La serie di tempere e tecniche miste dipinte per integrare i progetti di interni di palazzi e motonavi presentati dall’arch. Pulitzer, ne sono un risultato.

In esse Sironi crea, inventa, si sbizzarrisce in una serie di colori varia, chiara, allegra, in composizioni sempre nuove, libere, originali che non di rado toccano, o addirittura sconfinano, nell’informale.

Sironi continuando la sua strada verso il Classicismo, ripropone il recupero di tecniche tradizionali come l'affresco ed il mosaico e si lega sempre di più con i temi ed i modelli del Regime Fascista di cui diventa uno delle personalità artistiche più rappresentative.

Nel 1932 espone con altri ventuno artisti italiani alla "Galleria Bernheim" di Parigi, partecipa alla XVIII Biennale di Venezia e riceve l’incarico di realizzare alla Mostra della Rivoluzione Fascista (per il (decennale), alcune delle sale più importanti, quelle cioè della "Marcia su Roma", il "Salone d’onore" e la "Galleria dei fasci" che decora con un grande bassorilievo "L’Italia in marcia".

Nel 1933 per la V Triennale di Milano (Esposizione Internazionale d’arte industriale ed architettura moderna),  Sironi fa parte insieme a C. A. Felice e Giò Ponti (architetti) al gruppo dirigente; Sironi si occupa della parte decorativa della mostra e a tale scopo chiama attorno a sé i migliori pittori e scultori del tempo da Carrà a Campigli, da De Chirico a Savinio, da Depero a Martini, Marini, ecc..

Sironi, da parte sua, realizza, oltre ad altre opere, un grande dipinto murale (110 metri quadri), "Il lavoro", che viene però distrutto l’anno seguente.

Nel decennio seguente, oltre alla normale attività espositiva, il pittore affresca l’Aula Magna dell’università di Roma, appena costruita da M. Piacentini, raffigurante "L’Italia fra le Arti e le Scienze", di ben 200 metri quadri, di sapore retorico, realizza il manifesto e le medaglie commemorative di varie rassegne artistiche, realizza la vetrata concava policroma dell'"Annunciazione" ora all’Ospedale Niguarda di Milano, scenografia

La carriera di Mario Sironi segue il destino del regime che lo aveva portato tanto in alto, alla fine della guerra, avendo aderito,alla Repubblica Sociale di Salò, ripara a Dongo e a Bellagio.

Senza gli impegni fra arte, politica, burocrazia, architettura e illustrazioni, la sua vita del pittore continua con la produzione di opere da cavalletto esponendo all’estero a Losanna nel Museo Cantonale, a Buenos Aires ("Galleria Muller") e Madrid, al Museo Nazionale d’Arte Moderna.

Nell'ultimo decennio della vita, Mario Sironi si reintegra nel tessuto artistico italiano, viene premiato in molte occasioni, fino al maggio 1961, quando gli viene attribuito il Premio Città di Milano, che risulta essere l’ultimo omaggio al grande Artista, che morirà il 13 agosto dello stesso anno all’età di settantasei anni.

il nulla

Arte Concettuale
Nasce con l'intenzione di spostare il discorso artistico dai suoi tradizionali oggetti e materiali.
Fino dagli anni 60 l'arte ci aveva abituato ad oggetti e forme concrete.
L'arte concettuale invece si pone come scopo la ricerca della propria nozione e del proprio significato.
L'opera d'Arte consiste nell'analizzare e nell'investigare il  linguaggio artistico specifico e il sistema che lo accoglie .
Così arriva  ad un'arte smaterializzata, intesa come impiego di forme materiali durevoli.
I materiali possono essere fogli di carta, discorsi verbali sull'arte,riflessioni filosofiche sul sistema artistico.
L'arte  passa da un metodo di intuizione e di sintesi ad un metodo di analisi scientifica,proprio dell'attività  scientifica e filosofica.
Se l’arte ci aveva abituati all'ambiguità intenzionale dei significati,l'arte concettuale assume i dati della scienza e il
bisogno dell'esattezza e del significato univoco.









L’artista del nulla


sabato 25 aprile 2020

Nichilismo pittorico

NICHILISMO PITTORICO


Quando il disagio dell’artista si estende a tutta l’umanità: come non provare terrore di fronte all’essere gettati in un mondo che pare insensato ed illogico?
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In un mondo in cui la Storia del prossimo futuro è già stata tracciata in anticipo secondo un canovaccio che non ammette più nessuna variante,come fa un pittore a dipingere in termini di 'bellezza', subire un fascino estetico verso questo mondo agghiacciato e violento? Come può mettere tanta cura nel dipingere un volto, un gesto?
Lo potrà solo se ha la coscienza che tutto nella sua continua opera sarà più riuscito quanto maggiore sarà l’estraneità verso ciò che egli dipinge.
Una pittura aniconica quindi ,priva di significati reali,ma piena di luce e di colori, non ricerca del significato, cosa che molti spasmodicamente cercano, ma contemplazione dell’opera nel suo divenire, nel suo essere e nel suo proporsi……………………………………………………..


Milano 15 dicembre 2005 "Nichilismo Pittorico nell'arte di Alberto Buggè"
“ da elioarte “ su E.Zine

RODOLFO ARICO'

RODOLFO   ARICO'
Rodolfo Aricò nasce a Milano il 3 giugno 1930.
RODOLFO   ARICO'
Rodolfo Aricò nasce Tra il 1946 e il 1950 frequenta il Liceo Artistico di Brera, dove ha come professore di storia dell’arte Guido Ballo. Dopo il liceo si iscrive alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano e inizia a coltivare, oltre all'interesse per l'architettura, anche quello per la pittura. Nel 1957 ha l'occasione di esporre per la prima volta le proprie opere in una mostra personale, alla Galleria Bergamini di Milano e l'anno successivo conosce Carlo Grossetti che, nel 1959, lo invita a tenere una mostra personale alla galleria Salone Annunciata a Milano.

Rodolfo Aricò, Milano 1984
Dopo aver partecipato alla mostra Nuove prospettive della pittura italiana a Palazzo Re Enzo a Bologna nel 1962, espone l'opera Trittico dell'esistenza nell'ambito della XXXII Biennale di Venezia (1964).
Dalla metà degli anni Sessanta Aricò trae ispirazione dal lavoro dell'artista francese Robert Delaunay e lavora alla figura di un archetipo costituito da due dischi, le cui circonferenze si intersecano secondo diverse direttrici ortogonali. Nel 1965 il critico e storico dell'arte Roberto Sanesi, che aveva già curato la mostra personale del 1959 al Salone Annunciata, pubblica il volume Reperti: per uno studio sulla pittura di Rodolfo Aricò e nello stesso anno Aricò viene invitato a partecipare alla IX Quadriennale di Roma. Proprio in occasione della sua partecipazione alla rassegna romana, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna acquisisce l'opera Work in progress Le “simultanee forme” di Delaunay.
Dal 1966 approfondisce la riflessione sugli aspetti oggettuali del fare artistico e nel 1967 espone le proprie opere alla Galleria L'Attico di Roma in una personale corredata da un catalogo con testo di Giulio Carlo Argan. Aricò viene invitato alla XXXIV Biennale di Venezia (1968) e realizza, all'interno di una sala personale, uno spazio ambientale costituito da opere di grandi dimensioni. In questo periodo è assistente di Toti Scialoja al Liceo Artistico di Brera e stringe con lui un rapporto d'amicizia.
Nel 1969 espone al Salone Annunciata di Milano Pondus, un'opera composta da quattro grandi strutture tridimensionali che invadono lo spazio della galleria milanese (l'opera fa ora parte della collezione dei Musei Civici di Cagliari) e tiene la sua prima mostra personale negli Stati Uniti, alla Deson-Zacks Gallery di Chicago.
A partire dall'inizio degli anni Settanta Aricò si concentra sulla reinterpretazione della visione umanistica della storia dell'arte e degli archetipi dell'architettura. Inizia in questo periodo a utilizzare strati sottili di pittura a spruzzo, che sovrappone in diverse stesure fino a creare un risultato di apparente monocromia. Il tema umanistico emerge anche dai titoli dei lavori creati in questi anni - ArcoQuattrocentoProspettiva per Paolo Uccello.
Nel 1971 ottiene un incarico come insegnante di Scenografia presso l'Accademia di Belle Arti di Urbino. Dopo aver esposto alcuni suoi lavori nell'ambito della mostra Iononrappresentonullaiodipingo (1973) tenutasi presso la galleria Studio La Città di Verona, inaugura una personale antologica al Centro Internazionale delle Arti e del Costume di Palazzo Grassi a Venezia (1974); qui presenta opere di grandi dimensioni, che sono il frutto della ricerca strutturale e oggettuale avviata dalla metà degli anni Sessanta. Nel 1974, inoltre, incontra Carlo Invernizzi ed instaura con il poeta quello che Aricò stesso ha definito “un sodalizio senza soluzione di continuità per circa trent'anni [...] con influenza intellettiva e spirituale”.
Nel 1975 partecipa a numerose mostre tra cui Peinture italienne d'aujourd'hui (Galerie Espace 5, Montréal; Galerie Templon, Parigi), Empirica: l'arte tra addizione e sottrazione (Rimini; Museo di Castelvecchio, Verona), Trompe l'oeil (Galleria Stendhal, Milano) e Spazio attivo/Struttura (Studio Marconi, Milano; Galleria Rondanini, Roma), organizzata da Guido Ballo . Nel 1977 il Comune di Ferrara invita Aricò a tenere una mostra antologica negli spazi del Padiglione d'arte contemporanea di Parco Massari e nel 1978 gli viene commissionata la realizzazione di una scenografia per il "Teatro dell'Assurdo" di Tardieu al Teatro Pier Lombardo di Milano. Nello stesso anno gli viene assegnata la cattedra di Scenografia presso l'Accademia di Belle Arti di Brera e l'artista prende parte alla mostra I nodi della rappresentazione presso il Museo d'arte della città di Ravenna, in cui vengono letti i rapporti analogici tra architettura e pittura. In questa occasione Aricò presenta l'opera Scena di Ravenna, che rappresenta una contaminazione tra pittura, scenografia e architettura.

Rodolfo Aricò, Milano 1987
Nel 1980 la Casa del Mantegna di Mantova ospita la mostra Rodolfo Aricò. Mito e architettura dove viene esposta l'opera Scena di Mantova, composta da sei tele sospese, appese su tre diversi livelli di profondità, che danno vita nella visione d'insieme all'immagine di un timpano. Aricò continua a focalizzare la propria attenzione sull'indagine delle relazioni tra architettura, pittura e mito. L'anno successivo partecipa a Linee della ricerca artistica in Italia 1960/80 al Palazzo delle Esposizioni a Roma e a 30 anni d'arte italiana 1950/80. La struttura emergente e i linguaggi espropriati a Villa Manzoni a Lecco.
Nel 1982 Aldo Rossi cura la mostra Idea e conoscenza al Palazzo dell’arte alla Triennale di Milano, dove Aricò espone Timpano. Pulvis. Aricò partecipa anche a Costruttività, mostra curata da Filiberto Menna, e alla XL Biennale di Venezia, dove espone l'opera Clinamen / Prometeo. Nel 1984 inaugura una mostra personale al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano insieme a Gianni Colombo e l'anno successivo partecipa con l'opera Portale, un'ulteriore riflessione sul rapporto percettivo tra scena e pittura, alla mostra L'intelligenza dell'effetto. La messa in scena dell'opera d'arte a Palazzo Dugnani a Milano.
Nel 1986 partecipa alla mostra itinerante - tra Francoforte, Berlino, Hannover, Bregenz e Vienna - 1960/1985. Aspetti dell'arte italiana, curata da Flavio Caroli ed espone l'opera Struttura (1968) alla XLII Biennale di Venezia nella sezione “Il colore”. In seguito prende parte a La forma emozionata (Galleria Morone, Milano) curata da Luciano Caramel. L'Associazione Culturale Amici di Morterone lo invita alla mostra Una ragione inquieta presso il Palazzo Municipale di Morterone e, nel gennaio 1987, espone suoi lavori alla Loggetta Lombardesca di Ravenna in Disegnata, una mostra curata da Concetto Pozzati. Nel 1988 partecipa all'esposizione itinerante Emotion und Methode alla Galerie der Künstler di Monaco di Baviera e poi al Kunstverein di Ingolstadt. Giovanni Maria Accame lo invita a prendere parte a Il museo degli artisti a Morterone ed a Ragione e trasgressione presso l'Ex Convento di San Rocco di Carpi.
Nel 1989 partecipa alle mostre Quei problematici anni Settanta. Dalle premesse alle conseguenze. Alcuni protagonisti della pittura e della scultura, curata da Giorgio Cortenova alla Galleria dei Banchi Nuovi di Roma, e La pelle dell'arte. Riflessioni sulla superficie a cura di Lorenzo Mango presso il Palazzo Municipale di Morterone e l'Istituto d'Arte Dosso Dossi di Ferrara.
Durante gli anni Novanta, Aricò realizza una serie di mostre personali in cui espone opere che riflettono maggiormente sulla relazione con lo spazio, inteso come "dramma" ed elemento della materialità in divenire. In parallelo all'attività artistica intensifica anche quella teorica e Aricò affianca agli scritti inerenti al proprio lavoro racconti visionari e fantastici di natura autobiografica.
Nel 1990 Elisabeth Bozzi lo invita ad esporre i suoi lavori nella mostra Divina mania. Una poetica bicipite, occasione in cui le ricerche artistiche di Rodolfo Aricò, Carlo Ciussi e Pino Pinelli sono messe in relazione alla poetica di Carlo Invernizzi. Nello stesso anno la galleria Lorenzelli Arte di Milano riunisce in mostra lavori di Rodolfo Aricò, Piero Dorazio e Vittorio Matino e la Galleria Studio Grossetti inaugura A proposito di pittura, Aricò, Gastini, Nigro.
Nel 1991 lo Studio Carlo Grossetti gli dedica l'antologica Aricò '70 e il Comune di Milano organizza presso il Liljevalchs Konstall di Stoccolma la mostra, curata da Elena Pontiggia ed Elio Santarella, Il miraggio della liricità in cui vengono esposte opere della seconda metà degli anni Sessanta. Nel 1993 viene invitato con Gianfranco Pardi al Palazzo comunale di Venzone per la mostra La memoria dell'antico e l'anno successivo partecipa a Venezia e la Biennale alla Galleria d'Arte Moderna di Ca' Pesaro a Venezia.
Nel 1995 prende parte a Trilogia 5 al Centro espositivo della Rocca Paolina di Perugia e due anni dopo, nel 1997, presenta alla galleria A arte Studio Invernizzi di Milano opere cariche di spiritualità dal titolo Sere. Prende parte all'esposizione Gefühle der Konstruktion presso il Museum Rabalderhaus di Schwaz e, nel 1998, alla mostra Arte italiana. Ultimi quarant'anni. Pittura aniconica presso la Galleria d'Arte Moderna di Bologna.
Nel 2000 l'Associazione Culturale Amici di Morterone lo invita alla mostra itinerante Il corpofigura dell'immagine. Aspetti dell'arte italiana dal dopoguerra ad oggi (Städtische Galerie, Rosenheim; Musei Civici di Villa Manzoni, Lecco; Städtische Galerie Villa Zanders, Bergisch Gladbach) e nello stesso anno l'Istituto di Pittura dell'Accademia di Belle Arti di Bologna presenta la mostra Rodolfo Aricò, opere su carta.
Nel 2001 la Galleria Spazio Annunciata di Milano inaugura la sua ultima mostra personale.
Aricò muore a Milano il 22 giugno 2002.
Nel 2005 si tiene all'Institut Mathildenhöhe di Darmstadt una sua retrospettiva.
Nel 2013 la Peggy Guggenheim Collection di Venezia gli dedica uno speciale approfondimento espositivo ed editoriale in occasione della mostra Postwar. Protagonisti italiani.
Nell'ottobre 2014 inaugura alle Gallerie d’Italia - Piazza Scala la mostra Rodolfo Aricò. Pittura inquieta, dedicata all'ultima stagione creativa dell'artista, con la presentazione di sue opere degli anni Novanta dalle collezioni Intesa Sanpaolo e la prima pubblicazione integrale dei suoi racconti.

mercoledì 22 aprile 2020

Filippo Carcano pittori dell'800 italiano



Figlio di Francesca Pittaluga e Gaetano, un merciaio che aveva un negozio nel centro della città, vicino al Duomo, Filippo Carcano nacque a Milano il 25 Settembre 1840. Nel 1855 si iscrisse alla Accademia di Brera, dove frequentò i corsi di Francesco Hayez dal 1858 e di Giuseppe Bertini dal 1860. Nel 1859 vinse una borsa di studio per i successivi tre anni. Carcano debuttò nel 1862 alla mostra annuale dell’Accademia con il dipinto di soggetto storico Federico Barbarossa e Enrico il Leone a Chiavenna che vinse il Premio Canonica. Nel medesimo anni egli dipinse La piccola fioraia in cui emerge il  suo precoce interesse per il realismo e il suo rifiuto per la annedotica scena di genere. Esposto a Brera nel 1964 questo dipinto deluse i critici contemporanei sia per il soggetto che per la tecnica adottata dal pittore, che fu giudicata sfilacciata, senza contorno alcuno. In realtà la Fioraia era un’opera troppo moderna per essere compresa dalla critica del tempo. L’anno successivo Filippo confermò la sua predilezione per il realismo con la Lezione di danza. L’opera fu nuovamente stigmatizzata per essere troppo simile a un fotografia. La cura del dettaglio e l’abilità dell’artista nella prospettiva inaugurò un dibattito sul rapporto tra pittura e fotografia che si rinnovò nel 1867 quando Carcano esibì Una partita al bigliardo,



istantanea di vita quotidiana in cui è anticipato in maniera empirica il metodo pittorico del divisionismo. Nonostante l’opposizione della critica ufficiale Filippo espose le sue opere a Milano, Torino, Genova e Firenze, dipingendo sia scene di genere che tradizionali interni di chiese. Nel 1874 ottenne un meritato riconosciemento, diventando membro onorario dell’Accademia di Brera e nel 1878 vinse il Premio Mylius con il quadro Buon cuore infantile. Filippo iniziò ad avere successo anche all’estero, grazie alle sue opere di genere e, soprattutto, con i paesaggi del Lago Maggiore che iniziò a dipingere dal 1878 e che continuerà negli anni successivi, con numerose varianti sul tema. Il Carcano diventò così il precursore e il caposcuola di quella pittura dal vero che caratterizzerà la produzione artistica di molti autori sullo scorcio del secolo. Tra le tante opere sono da ricordare La pietra papale o Melanconia, la Vista del Lago Maggiorela Strada al Mottarone . Nel 1880 l’ampia veduta dell’Isola dei Pescatori gli garantì un successo immediato alla Esposizione di Brera. Raggiunta una notevole popolarità il pittore dipinse un quadro di sorprendente soggetto sociale, L’ora del riposo durante i lavori dell’Esposizione del 1881, che esibì all’Esposizione Nazionale di Belle Arti. Nel 1882 vinse il Premio Principe Umberto con il quadro Piazza San Marco a Venezia. Altre opere di grande formato come la Strada al bosco dei Gardanelli e La pianura lombarda , gli assicurarono onore e fama in Italia e all’estero. Le nature morte degli anni ’80 e ’90, come per esempio  Appena arrivate!, sono meno conosciute ma non per questo poco significative. Nel 1897 a Carcano venne assegnato per la seconda volta il Premio Principe Umberto con Cristo che bacia l’Umanità, un largo quadro esibito alla mostra triennale di Brera che anticipa i soggetti mistici e simbolici degli ultimi anni dell’artista. Nel 1897, nella stessa occasione, Carcano presenta anche Il ghiacciaio di Cambrena, un’opera di grande interesse per i pittori lombardi, che conferma la modernità dell’artista ormai anziano in una visione scarna e nitida di un paesaggio naturale. Dal 1895 fino alla sua morte Carcano fece parte, sia come promotore che come membro della giuria delle principali mostre d’arte di Milano. Filippo chiuse i suoi occhi per sempre a Milano il 25 Gennaio 1914,




la piccola  fioraia di Filippo  Carcano
Carcano ha 24 anni quando nel 1864 espone a Brera la prima versione di Cortile a giardino con figure, effetto di sole. Destinato a diventare uno dei più celebri quadri del pittore, la Fioraia è datata 1864








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Olio su tela cm 997 x 1995  titolo dell'opera progresso e ignoranza  gallerie  Maspes-Milano
 Carcano presenta alla I Triennale Progresso ed ignoranza, unendo il tema campagnolo all’evento storico. L’opera rappresenta l’atterraggio di un aerostato e la conseguente scomposta reazione della folla




                                                            Torrenti e Armenti     olio su tela  cm 83x58 
                                              Galleria   Elioarte





Domenico Caldara pittori minori dell'800 italiano

Domenico Caldara (Foggia2 maggio 1814 – Napoli14 dicembre 1897) è stato un pittore e docente italiano. Fu l'ultimo pittore di corte dei Borbone.

Biografia

Domenico Caldara nacque a Foggia il 2 maggio 1814 da Benedetto e Maria Michela Tonti, commercianti originari della Terra di Bari. Ben presto rimase orfano di entrambi i genitori.
Venne aiutato nel proseguire gli studi da un nobile locale, il conte Varo che, vista la sua attitudine al disegno, gli permise di andare a studiare presso l'Accademia Reale di Belle Arti di Napoli. Fu allievo di Costanzo Angelini.
Dipinse il soffitto del salone principale della Casa Siniscalchi, a Napoli, con affreschi raffiguranti Apollo con le Muse sul Parnaso. Con l'opera La sfida tra Apollo e Marsia nel 1844 vinse il concorso per il pensionato artistico di Roma. Rimase nell'Urbe, dove frequentava la Scuola di Filippo Marsigli.
Nel 1848 tornò a Napoli, dove aprì una bottega d'arte e diventò ufficialmente pittore della Corte borbonica. Tra le sue opere, una Visione di Cristo da Santa Teresa per la regina Maria TeresaGloria di San Vincenzo Ferreri per cattedrale di Gaeta e un San Ferdinando di Castiglia, per la cappella Reale, su incarico di Re Ferdinando II.
Nel 1854 fu nominato professore all'Accademia di Napoli.
Nel 1859 la regina Maria Teresa commissionò a Caldara un ritratto, a grandezza naturale, del volto del re Ferdinando sul suo letto di morte, nel Palazzo Reale di Caserta.[1] Con la caduta della dinastia borbonica, si eclissò anche la stella di Caldara che continuò comunque a dipingere numerosi dipinti di soggetto sacro e a fare ritratti di nobiluomini foggiani e partenopei. Nel 1877 espose un dipinto intitolato Vecchierella all'Esposizione Nazionale di Venezia del 1887. Morì in povertà, a Napoli, nel 1897.
A Foggia nel 1969 è stato istituito il Premio "Domenico Caldara", vinto quell'anno dal pittore Francesco  D'Amore.








Domenico Colao pittori minori dell'800 italiano

Domenico Colao è stato un pittore italiano. Wikipedia Nascita: 1881, Vibo Valentia Morte: 14 dicembre 1943, Roma
Dipinto ad olio su cartone m 18 x 12 Cornice dorata
  Galleria  Elioarte




Nato a Monteleone Calabro (oggi Vibo Valentia), morì nel policlinico di Roma dove non superò un intervento chirurgico a cui fu sottoposto, lasciando tre figli, Teresa, Ernesto e Beniamino detto Mino, famoso giornalista con cittadinanza francese, ritiratosi negli ultimi anni di vita nella provincia romana. Conseguita la licenza liceale, frequentò per un biennio la facoltà di giurisprudenza di Napoli, ma alla morte del genitore, ex garibaldino e presidente del locale Tribunale, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze, allievo di Giovanni Fattori. Tra il 1908 e il 1911 visse a Parigi, dividendo lo studio, una mansarda a Montmartre, con un pittore del Novecento, Anselmo Bucci e frequentando Leonardo Dudreville e Gino Severini. Esordì nel 1914 a Fiuggi, con una mostra di pastelli aventi a tema motivi parigini, e nello stesso anno fu presente all’Esposizione nazionale di Belle Arti di Milano. Nel ’15 fu richiamato in guerra; dopo di allora i soggetti delle sue opere si ispirarono alle umili condizioni delle genti di Calabria. Nel 1919 espose alla Mostra Collettiva del Circolo Artistico di via Margutta, Roma; e nel ’20 alla Permanente di Milano. Dal 1922 al 1927 fece parte, assieme a Umberto Diano, Alessandro Monteleone, Ezio Roscitano, Carmine Tripodi del Gruppo Artistico Calabrese, che cercò di opporsi agli aspetti folcloristici dell’arte meridionale, tentando di dare al problema del regionalismo artistico un’impostazione di più ampio respiro, ottenendo soprattutto negli anni ’26 e ’27, importanti riconoscimenti dalla critica ufficiale. Nel ’23 espose alla Prima Mostra internazionale delle arti decorative di Monza; nel ’24 alla 3ª Mostra Calabrese d’arte Moderna di Reggio Calabria; nel ’25 alla Casa d’arte Bragaglia, ancora a Roma e alla Bottega di poesia a Milano, con un importante testo in catalogo di Enrico Somarè. Nel ’26 fu presente alla 1ª Mostra del Novecento Italiano, a Milano (organizzata sotto l’egida critica di Margherita Sarfatti e inaugurata dal Duce) con tre quadri, La Famiglia, Il grano, Paesaggio calabrese; alla XCII Esposizione degli Amatori e Cultori di Roma, assieme al “Gruppo”; alla Biennale di Venezia, ove espose Il pane e Libecciata. Il ’27 lo vide esporre all’Internazionale di Monza e alla II Mostra di Arte Marinara di Roma (dove sarà anche nel ’29); e il ’28 alla “Exposiciòn de Arte Francès, Italiano y del Libro Alemàn”, Madrid. Nel ’29 prese parte alla 2ª Mostra del Novecento Italiano, Milano; nello stesso anno gli fu assegnata una parete alla 1ª Mostra del Sindacato Laziale degli Artisti, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove espose un gruppo di dodici opere tra cui Bambino dormiente. Il ’30 partecipò alla Sindacale Fiorentina e fu presentato a Mussolini. La Biennale di Venezia lo vide ancora presente in altre sei edizioni: 1930 con Ritratto muliebre, I vecchi, Bambino al balcone; 1932 con tre opere; 1934 con tre opere, tra cui Bambino che legge e Bambino seduto; 1936 con cinque opere; 1940 con sala personale, comprendente diciassette opere, tra cui La pergola; 1942 con Trebbiatura in Toscana. Il 1931 presentò tre quadri, L’uomo in cammino, Paesaggio e un'altra opera, alla 1ª Quadriennale romana; venne invitato all’estero, all’ “International Exbition” di Pittsburg e tenne una mostra alla Galleria Pesaro di Milano, assieme ad altri tre artisti calabresi, Monteleone Ortona Roscitano, con testo in catalogo di Michele Biancale. Nel ’32 e nel ’34 prese parte alla III e IV Mostra del Sindacato Laziale, a Roma. Ancora nel ’34 tenne una personale al Circolo delle Arti e delle Lettere, Roma; e fu invitato alla Mostra Internazionale d’arte Coloniale di Napoli e alla 1ª Mostra del Sindacato Toscano di Firenze. Nel ’35 partecipò alla Quadriennale romana e alla Mostra sindacale dei Disegni a Roma. Nel 1939 ricevette un premio per la pittura dall’Accademia d’Italia; nello stesso anno fu nuovamente invitato alla Quadriennale romana, dove Giuseppe Bottai gli acquistò l’opera Vecchio cavallo sulla spiaggia per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Nel 1940 mostra di paesaggi calabresi e toscani alla Galleria Gian Ferrari di Milano, catalogo di Corrado Alvaro; nello stesso anno partecipò a Napoli alla Triennale d’Oltremare; e nel ’43 partecipò alla 4ª Quadriennale romana. Fu Professore onorario degli Istituti di BBAA di Napoli, di Firenze e di Perugia. Colao dipinse paesaggi e figure, di buona fattura, trattati con molta sensibilità cromatica, non immune dalla lezione fattoriana. Nel '42 l'artista fu chiamato ad affrescare il salone centrale del Museo delle Arti e Tradizioni popolari per l'Esposizione Universale di Roma: Colao vi raffigurò la Battitura del grano, unico suo esempio di pittura a fresco . Nella Pinacoteca Barbella, Chieti, le opere: La Casa del pescatore, Il pino solitario, Barche su una spiaggia calabrese, Paesaggio calabrese; nella Galleria Comunale di Arte Moderna, Roma, La raccolta del granturco, Autoritratto e due Paesaggi. Sue opere nella rassegna La Divina Bellezza, complesso del San Giovanni, Catanzaro, 2002. Nel 2006 nel Museo Archeologico Statale, Castello di Vibo Valentia è stata organizzata un'importante retrospettiva, con catalogo a cura di Alessandro Masi, Leonardo Passarelli, Mauro Minervino e Tonino Sicoli, Ed. Regione Calabria. Lett.: Tonino Sicoli, Il Quotidiano di Calabria, 8 febbraio 2009.
olio su tavola cm 22x 24
titolo  fanciullo con berretto







Nacque a Monteleone Calabro, oggi Vibo Valentia, da Filomena Costa e da Beniamino, ex garibaldino e presidente del locale Tribunale che desiderava avviare il figlio alla carriera forense. Ma le intenzioni del genitore non piacquero al giovane, per cui dopo gli studi liceali e due anni di giurisprudenza all’Università di Napoli, nel 1903 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze che frequentò per cinque anni. Allievo di  Giovanni Fattori (1825-1908) del quale subì l’influenza in tutta la sua opera, frequentò «Le Giubbe rosse», non ancora sede dei futuristi fiorentini. Ebbe tre figli, Teresa, Ernesto e Beniamino detto Mino, famoso giornalista vissuto in Francia, ritiratosi negli ultimi anni di vita nella provincia romana.
Nel 1908 Colao si recò a Parigi ma è incerto se vi rimase ininterrottamente fino al 1911, come scrive il figlio Mino, oppure se la sua presenza nella capitale avvenne a intervalli come lasciano supporre le «Autobiografie» di Anselmo Bucci e di Gino Severini, condividendo lo studio, una gelida mansarda di Montmartre, con Anselmo Bucci, uno dei fondatori del «Gruppo Novecento», la cui coordinatrice era il critico d’arte Margherita Sarfatti, stretta collaboratrice e amante di Mussolini, vivendo di espedienti senza una lira in tasca. Nella capitale francese, dove aveva frequentazione con altri artisti italiani come Gino Severini e Leonardo Dudreville, ebbe notizia del Futurismo, il cui Manifesto venne pubblicato sul «Figaro» del 20 febbraio 1909, e conobbe la pittura di Cézanne, Gauguin e Van Gogh.
Tornato in Italia, nel 1914 allestì a Fiuggi la sua prima mostra di pastelli, di cui non si ha più traccia, aventi come tema motivi parigini, e nello stesso anno fu presente all’Esposizione nazionale di Belle Arti di Milano.
L’anno successivo fu chiamato alle armi e partecipò alla Prima Guerra Mondiale come ufficiale. Dopo di allora cambiò i soggetti delle sue opere; mentre in un primo periodo rivolse il suo interesse verso pescatori, nature morte e ritratti delle genti di Calabria, in un secondo momento il paesaggio diventerà protagonista principale, anche se non esclusivo, della sua opera, emancipandosi dal ruolo di sfondo.
Dopo vari soggiorni a Milano, Roma e Firenze tornò per un certo tempo a Monteleone per poi stabilirsi definitivamente a Roma. Nella capitale fu anche residente a Villa Strohl-Fern, all’interno del parco di Villa Borghese, luogo in cui ebbero gli studi molti artisti, musicisti e letterati (tra cui Carlo Levi, Ercole Drei, Arturo Martini, Virgilio Guidi, Umberto Moggioli), in un padiglione di legno un tempo situato nell’area del Palazzo Grande.
Nel 1919 espose alla Mostra Collettiva del Circolo Artistico di via Margutta a Roma; e nel 1920 alla Permanente di Milano. Dal 1922 al 1927 fece parte del «Gruppo artistico calabrese» insieme a Umberto Diano, Alessandro Monteleone, Ezio Roscitano e Carmine Tripodi, gruppo che operò cercando di dare al problema del regionalismo artistico un’impostazione di più ampio respiro, meno folkloristica ma che richiamasse i valori spirituali della Calabria e che, soprattutto negli anni 1926-27, ottenne significativi riconoscimenti dalla critica.
Nel 1923 espose alla Prima Mostra internazionale delle arti decorative di Monza; l’anno successivo alla III Mostra Calabrese d’arte Moderna di Reggio Calabria; nel 1925 alla Casa d’arte Bragaglia, ancora a Roma e alla Bottega di poesia a Milano, con un importante testo in catalogo di Enrico Somarè. L’anno dopo fu presente alla Prima Mostra del Novecento Italiano, a Milano (organizzata sotto l’egida della Sarfatti e inaugurata dal Duce) con tre quadri, La Famiglia, Il grano, Paesaggio calabrese; alla XCII Esposizione degli Amatori e Cultori di Roma, assieme al «Gruppo»; alla Biennale di Venezia, ove espose Il pane e Libecciata. Il 1927 lo vide esporre all’Internazionale di Monza, alla Galleria dell’Esame di Milano, con testo in catalogo di Michele Biancale e alla II Mostra di Arte Marinara di Roma (dove sarà anche nel 1929), e l’anno successivo alla «Exposiciòn de Arte Francès, Italiano y del Libro Alemàn» di Madrid. 
Nel 1929 fu presente alla Seconda Mostra del Novecento, ancora a Milano, alla III Mostra Marinara di Roma e alla Prima mostra del sindacato laziale degli artisti al Palazzo delle Esposizioni, dove gli venne dedicata una parete con dodici opere. Nel 1930 fu la volta della Sindacale di Firenze e della Biennale di Venezia, presente con tre pitture, Ritratto muliebre, I vecchi, Bambino al balcone e dove espose per altre edizioni fino al 1942: nel 1932 con tre pitture; nel 1934 ancora con tre pitture, tra cui Bambino seduto e Bambino che legge; nel ’36 con cinque pitture; nel ’40 con ben diciassette pitture, tra cui La pergola, in sala personale e infine nel ’42, con una sola opera, Trebbiatura in Toscana.
Il 1931 presentò tre quadri, L’uomo in cammino, Paesaggio e un’altra opera alla Prima Quadriennale romana; venne invitato all’estero, all’ “International Exbition” di Pittsburg e tenne una mostra alla Galleria Pesaro di Milano, assieme ad altri tre artisti calabresi, Alessandro Monteleone, Ugo Ortona, Ezio Roscitano. Nel ’32 e nel ’34 prese parte alla III e IV Mostra del Sindacato Laziale, a Roma. Ancora nel 1934 tenne una personale al Circolo delle Arti e delle Lettere di Roma; e fu invitato alla Mostra Internazionale d’arte Coloniale di Napoli e alla Prima Mostra del Sindacato Toscano di Firenze. L’anno seguente partecipò alla Quadriennale romana e alla Mostra sindacale dei Disegni a Roma.
Il 1939 fu per Colao un anno pieno di successi: ricevette un premio per la pittura dall’Accademia d’Italia; ebbe alcuni incarichi di insegnamento; fu nuovamente invitato alla Quadriennale romana, dove vendette diverse opere; Giuseppe Bottai gli acquistò Vecchio cavallo sulla spiaggia per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma; il Governatorato di Roma acquistò Ragazzi in vacanzae il Ministerò della cultura popolare comprò il Corteo nuziale.
Nel 1940 Corrado Alvaro scrisse la presentazione al catalogo della mostra alla Galleria Gian Ferrari di Milano e nel 1942 l’artista fu chiamato ad affrescare il salone centrale del Museo delle Arti e Tradizioni popolari per l’Esposizione Universale di Roma:  vi raffigurò la Battitura del grano, unico suo esempio di pittura a fresco. Professore onorario nelle Accademie di Belle Arti di Firenze, Napoli e Perugia, la sua ultima presenza avvenne nel 1943 alla Quadriennale romana, con più opere, tra cui un Autoritratto; morì nello stesso anno nel Policlinico di Roma dove non superò un intervento chirurgico a cui fu sottoposto. Aveva appena 62 anni.
Colao ha sempre goduto di ampia considerazione critica e anche di mercato. Suoi lavori in molte collezioni private importanti, come in sedi pubbliche: nella Galleria Ricci Oddi di Piacenza il suo capolavoro Un uomo lungo la spiaggia; nella Galleria d’arte moderna di Gerova una Marina; e nelle Gallerie d’arte moderna di Roma e di Firenze.  Il Liceo artistico di Vibo Valentia porta il suo nome. (Enzo Le Pera) © ICSAIC