auto antiche e moderne

martedì 22 giugno 2010

Palermo : MISTERI



Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 alcuni ladri entrano nell'Oratorio di San Lorenzo a Palermo, e rubano un grande quadro che sta sull'altare maggiore dall'ottobre del 1609. È una tela della Natività coi Santi Lorenzo e Francesco, ed è l'ultima opera dipinta in Sicilia dal Caravaggio che, subito dopo, era partito per Napoli (nel luglio dell'anno seguente l'artista morirà su una spiaggia di Porto Ercole, in Toscana).

A tutt'oggi, , il quadro non è stato ancora recuperato, e molti ritengono che possa essere andato distrutto già da molto tempo. Forse... Ma del "Caravaggio" perduto ogni tanto si parla, nel corso di questi lunghi trascorsi. E oggi sappiamo molte cose.
Da stralci di notizie di cronaca degli anni scorsi.

"Sappiamo che uno dei ladri è stato Francesco Marino Mannoia, appartenente alla famiglia mafiosa dei Bontade e ora "collaboratore di giustizia" o pentito. In una udienza del 5 novembre 1996, relativa al "processo Andreotti", Mannoia racconta come è avvenuto il furto: la tela è stata staccata dalla cornice con una lametta da barba (!) e poi arrotolata per trasportarla meglio. Aggiunge che queste operazioni l'hanno molto rovinata e che quando l'acquirente l'ha vista si è messo a piangere. Conclude affermando di aver distrutto il quadro, perché ormai invendibile "
Che la mafia possa aver fatto distruggere un Caravaggio, per quanto rovinato, pare incredibile. Del resto, notizie sul quadro riemergono di tanto in tanto , e sempre in relazione alla mafia.


< La notizia più clamorosa la racconta Giovanni Brusca, altro mafioso pentito come Mannoia.
Brusca dice che la mafia, dopo le leggi speciali antimafia seguite alla morte di Falcone e Borsellino nel 1992, ha cercato di "trattare" con lo Stato Italiano: opere d'arte trafugate, tra cui la tela di Caravaggio, in cambio della modifica del 41bis, un articolo di legge che impone ai mafiosi il carcere duro, impedendo loro ogni comunicazione con l'esterno. Pensateci, dicono i mafiosi, perché "una persona, per quanto importante, può essere sostituita. Un'opera d'arte, persa una volta è persa per sempre".>

Misteri,..... rimane deprimente ancora oggi dopo tanti anni, entrare nell'Oratorio di San Lorenzo e trovarsi difronte ad una grande fotografia










 che ricorda il capolavoro scomparso.

Sgarbi: “la Natività di Caravaggio non è stata rubata dalla mafia. E presto riapparirà”



In occasione del cinquantesimo anno dal furto della Natività di Caravaggio dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo (era la notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1969), pubblichiamo un video che include un intervento dello storico dell’arte Vittorio Sgarbi sulle circostanze del furto. Le dichiarazioni non erano ancora state prese in considerazione dalla stampa: il video è tratto da un paio di incontri organizzati da Panorama d’Italia: I tre Caravaggio, del 27 settembre del 2018 (Roma, chiesa di San Luigi dei Francesi), e Alla scoperta dei tesori nascosti di Palermo, del successivo 10 ottobre (Palermo, Real Teatro Santa Cecilia).
Secondo Sgarbi, il furto della Natività non sarebbe da attribuire alla mafia, come si è sempre creduto. Il celebre storico dell’arte e personaggio televisivo cita fonti anonime che avrebbero segnalato che l’opera non è stata rubata dalla mafia, e che non è neppure andata distrutta. Inoltre, durante il suo intervento, Sgarbi si schiera a favore dell’ipotesi che vuole il dipinto eseguito da Caravaggio a Roma (attorno al 1600) e non in Sicilia.
Nella Natività, ha sottolineato Sgarbi durante l’incontro del Real Teatro Santa Cecilia, vediamo un “Caravaggio euforico, nel pieno della gloria, con una richiesta che gli viene dalla Sicilia di inviare, come avrà inviato per via di nave, questo capolavoro in cui si vede il san Lorenzo bellissimo con la sua dalmatica a richiamare l’oratorio, e poi il tema della Natività con una delle figure più incredibili che la pittura abbia mai concepito, cioè un san Giuseppe con i capelli bianchi corti e forse anche dei tatuaggi, che sembra David Bowie”.
“Io non ho mai visto una figura così”, ha aggiunto Sgarbi, “perché non lo vedi di faccia, ti gira le spalle, ha i capelli tagliati corti, tutti bianchi ma è sicuramente non un vecchio e, preso atto che dovrebbe essere la figura di san Giuseppe, è tra le figure più originali e anomale di questa figura che normalmente viene rappresentata con la barba, con un uomo anziano, secondo le categorie... poi ha, vedete, dei pantaloni attillati come dei collant, si vede male perché la fotografia non voleva richiamare il dipinto di Caravaggio ma gli stucchi di Serpotta”. Di seguito, il video con le dichiarazioni sulla Natività (qui invece il link per il video integrale dell’incontro di Roma) e le trascrizioni delle affermazioni di Sgarbi sul furto del dipinto.







Alcune foto di Palermo




Agrigento Il tempio della Concordia.


Il tempio deve la sua denominazione ad una iscrizione latina con dedica alla Concordia degli Agrigentini rinvenuta nelle vicinanze al tempio ma che non ha con esso alcuna relazione.
L’edificio, costruito in calcarenite locale, è di stile dorico (440-430 a.C.), poggia su un basamento di quattro gradini e presenta sei colonne sui lati brevi e tredici sui lati lunghi. L’interno era suddiviso in tre vani quello centrale (cella) era preceduto da un atrio di ingresso (pronao) e seguito da un vano posteriore (opistodomo), questi ultimi avevano due colonne antistanti; ai lati della porta della cella si trovano le scale di accesso al tetto. L’interno e l’esterno del tempio erano ricoperti da un rivestimento di stucco bianco sottolineato da elementi policromi. Le dodici arcate ricavate nei muri della cella e le tombe scavate nel pavimento sono dovute alla trasformazione del tempio in basilica cristiana, grazie alla quale l’edificio deve il suo ottimo stato di conservazione. Infatti,secondo la tradizione, verso la fine del sec VI. d.C.il vescovo Gregorio si insediò nel tempio e lo consacrò a Santi Apostoli Pietro e Paolo dopo aver scacciato i demoni pagani Eber e Raps che vi risiedevano. La persistenza di una duplice dedica ha fatto pensare ad alcuni studiosi,che oginariamente il tempio fosse dedicato ai Dioscuri Castore e Polluce. Sulla roccia affiorante a Ovest del tempio si estendeva la necropoli paleocristiana (III-VI sec. d.C.) correlata alla trasformazione dell’edificio in basilica, comprendente un vasto settore di sepolture all’aperto (subdivo) scavate nel banco roccioso e un’ampia catacomba comunitaria con vari ipogei destinati a nuclei familiari; a Est del tempio sono visibili una serie di tombe ad arcosolio ricavate nello spessore del costone roccioso che aveva costituito la base delle fortificazioni di età greca. Numerosi restauri sono stati eseguiti a partire dal 1788, quando ad opera del Principe di Torremuzza furono rimosse le ultime strutture relative alla chiesa cristiana, sino agli ultimi interventi di tipo statico e conservativo delle superfici lapidee effettuati dal Parco .

domenica 20 giugno 2010

Agrigento


AGRIGENTO
Te invoco città di Persefone, città la più bella fra quante albergo son d’uomini o amica del fasto che presso Acragante ferace di greggi, ti levi sul clivo turrito.
(Pindaro ode Pitia XII).
Questo canto di Pindaro, elevato alla magnificenza dell’antica Akragas, quando nel suo viaggio in Sicilia, ospite alla corte di Ierone di Siracusa, del quale, con Bacchilide, ne celebrò la vittoria olimpica del 476, definisce, con vivido spunto poetico, la bellezza e l’opulenza di questa grande metropoli dell’antichità.
I natali di Akragas (l’Agrigentum dei Romani), risalgono al sesto secolo a.C. ad opera dei coloni rodii e cretesi che nel 690 avevano fondato con Aristonoo e Pistilo, la città di Gela. Nel 570, Falaride, cui vennero attribuite leggendarie crudeltà, quale la tortura del toro di bronzo arroventato ove introduceva suoi oppositori, facendoli perire crudelmente, si impadronì del potere.
Nella realtà, Falaride, rendendola indipendente da Gela, fu il primo grande artefice dello sviluppo di Akragas. La città crebbe rapidamente espandendo la sua influenza e i confini del proprio dominio, ai territori circostanti.
Con Ierone (488-473), Agrigento estese la sua potenza alle coste tirreniche sino ad Imera. Qui, in alleanza con Gelone di Siracusa, sconfisse, nel 470 a.C., i Cartaginesi. Alla morte di Terone http://it.wikipedia.org/wiki/Terone, il potere passò al figlio Trasideo che venne allontanato dalla città, dopo solo due anni di governo e venne instaurato una sorta di governo democratico, con un consiglio eletto direttamente dal popoio.
Ispiratore della costituzione democratica fu il grande scienziato, medico e sacerdote Empedocle, il più illustre figlio dell’antica Akragas.
Per circa 60 anni, Akragas, godette uno straordinario periodo di pace e benessere, dedita allo sfruttamento del fertile territorio e abbellendo la città di grandiosi monumenti e pubblici edifici. Durante la guerra fra Atene e Siracusa del 415 a.C., mantenne un atteggiamento neutrale, continuando a rendere più potente e grandiosa la città, dedicandosi a lucrosi traffici commerciali. Diodoro narra che, in questo periodo, raggiunse i 200.000 abitanti e un vertice di ricchezza e bellezza unico nella sua storia.
NeI 406, Akragas, non seppe opporre una valida resistenza all’esercito cartaginese. Dedita com’era più alle arti e ai piaceri della vita che alla pratica delle armi, venne incendiata e saccheggiata nella battaglia del Crimiso del 339 dalle schiere di Annibale e Imilcone. Il vincitore dei Cartaginesi, Timoleonte di Siracusa, la fece risorgere, riportandola al precedente splendore, tanto da esserne considerato il nuovo fondatore.
Passata una prima volta sotto il dominio romano nel 262, ricadde sotto i Cartaginesi (255) e quindi definitivamente assoggettata dai Romani nel 210 a.C.
Nei secoli seguenti Agrigento subì la sorte e le vicende politiche delle altre città siciliane. Dominata dai Bizantini in una fase di profondo decadimento, venne occupata nell’827 d.C. dai Saraceni che le mutarono il nome, chiamandola Girgenti (dall’arabo Gergent).
I Normanni, che la occuparono nel 1087, ne fecero un’importante diocesi e verso la fine del XIII sec. appartenne, per alcuni decenni, alla nobile famiglia dei Chiaramonte.
Svevi, Angioini e Borboni la tennero sotto il loro dominio, sino all’impresa garibaldina dei Mille del 1860.
Insorse contro i Borboni e partecipò attivamente alla guerra di indipendenza per l’unità d’Italia.

venerdì 18 giugno 2010

Cefalù -Meta turistica d'Europa


foto elioarte di Buggè Elio

Su un promontorio di incomparabile bellezza, sulla costa tirrenica della Sicilia, si trova Cefalù, adagiata fra una rupe scoscesa sul mare e una splendida spiaggia di sabbia finissima.
Oggi Cefalù è un grande e organizzato centro turistico che nel corso dei secoli ha conosciuto varie civiltà di cui si hanno ancor oggi testimonianze; dal tempio di Diana che risale al periodo megalitico, ai resti greci, arabi e normanni come il famosissimo Duomo.
Iniziato nel 1131, il Duomo fu realizzato in momenti diversi con evidente mescolanza di stili; è un imponente struttura che con le sue due torri sembra dominare la città. Vi si accede da una bellissima piazza ornata di palme attraverso una splendida scalinata.
All’ interno si trovano dei maestosi mosaici su oro di arte bizantina tra cui ricordiamo l’imponente figura di Cristo Pantocrate nel catino absidale.
Oltre a moltissime opere pittoriche custodite nel Duomo, segnaliamo il Fonte Battesimale (XII sec.), la statua marmorea della Madonna col Bambino (1533),http://www.panoramio.com/photo/32747231
il sepolcro del vescovo Castelli (1788) e due organi del ‘700 con pregevolissimi decori.
Una piccola porta posta all’ inizio della navata sinistra, ci porta al Chiostro, costituito da tre file di colonne binate che ricordano quelle di Monreale.
Sulla stessa piazza della Cattedrale si trovano il Palazzo Comunale, il vescovado, il seminario, Palazzo Pirajno, Palazzo Maria, l’oratorio del SS. Sacramento e Palazzo Legambi.
Affiancando il Palazzo Comunale si imbocca la via Mandralisca dove si trova l'omonimo museo. Al suo interno sono custodite le molteplici opere artistiche che il barone Enrico Pirajno di Mandralisca donò alla città alla sua morte.
Fra gli oggetti esposti ricordiamo in particolare dei fossili, una pregevole collezione di conchiglie, tavolette votive, monete, vasi tra cui un famoso cratere a campana raffigurante un pescivendolo mentre discute con un cliente (IV sec. a.C), e moltissimi dipinti tra cui spicca il “Ritratto d’ignoto” di Antonello da Messina (1470). Spostandoci da via Mandralisca raggiungiamo i resti della Chiesa di S. Giorgio (la Badiola) per arrivare poi al caratteristico “Lavatoio medioevale” alimentato da sorgenti di acque dolci e utilizzato soprattutto in epoca arabo-normanna. Nelle immediate vicinanze troviamo la Porta Pesca una porta che si affaccia sul porto dove attraccano i pescherecci.
Il mare particolarmente pescoso in questa zona, ha permesso una fiorente attività marinara.

foto elioarte di Buggè Elio

martedì 15 giugno 2010

NOTO e Il barocco in Sicilia


LA CATTEDRALE - La grandiosa mole barocca del Duomo domina, dall’alto di una scalinata a tre ripiani successivi, la vasta piazza del Municipio e fronteggia l’armonioso Palazzo Ducezio,


opera dell’architetto Vincenzo Sinatra, sede oggi del Municipio Netino, cinto da un portico classicheggiante di elegante fattura.Il Palazzo Ducezio, sede del comune di Noto, trae nome dal condottiero che nel V° secolo a.C. si mise a capo delle popolazioni sicule, nel tentativo di contrastare gli eserciti greci.
All’interno, si trova il Salone di rappresentanza, chiamato anche Sala degli specchi, il cui soffitto è adornato da un grande affresco databile agli ultimi anni del XVIII secolo, che raffigura “Re Ducezio indica il sito dove trasferire Noto, sua patria”.
L’ambiente, a pianta ovale, ha arredamenti stile Luigi XV e decorazioni al soffitto stile liberty, originariamente era adibito a piccolo teatro e successivamente a sala consiliare, oggi, come nel passato recente, il Salone accoglie visitatori illustri quali: sovrani, presidenti, principi, cardinali, ministri e ambasciatori. Viene utilizzato anche per cerimonie importanti.


L’interno della Cattedrale di Noto , ricostruito dopo il crollo del 13 marzo 1996,



ha tre navate con varie cappelle laterali dai preziosi altari marmorei, conserva nel transetto a destra, la Cappella di S. Corrado ove sono esposte le reliquie di S. Corrado Confalonieri, patrono di Noto, nell’urna d’argento, opera del 1566 di Claudio Lo Paggio.

Noto: il tracciato urbano, nel XVIII sec., e la sua sistemazione venne realizzato su disegno di Giovani Battista Landolina con la rilevante partecipazione degli architetti Rosario Gagliardi, Paolo Labisi, Vincenzo Sinatra, Saverio Sortino e A. Mazza, quasi tutti originari della Città.
La misura urbanistica del disegno architettonico, nelle sue linee essenziali, si richiama, facendone un ammirabile esempio, alle teorie urbanistiche di Ippodamo di Mileto. L’impianto urbano di tipo Ippodameo si esprime attraverso l’omogeneità architettonica degli edifici tutto delle eminenti doti artistiche degli architétti e delle maestranze artigiane del luogo che crearono capolavori originalissimi, lavorando la caratteristica pietra color oro proveniente dalle cave locali. L’arteria principale, il corso Vittorio Emanuele lungo 800 metri attraversa tutta la parte monumentale della città, allargandosi in successione su tre piazze, con un ammirevole effetto scenico delle prospettive, reso dalle monumentali scalinate che salgono il declivio del colle, sulle quali si affacciano dimore patrizie, di notevole rilievo architettonico barocco e neoclassico.

Se a Palermo, e in altre città settecentesche della Sicilia, sono prevalenti negli edifici gli elementi strutturali del barocco, gli architetti Netini e soprattutto il Gagliardi che ebbe un ruolo prevalente nella sistemazione urbanistica della città, fecero valere in una sublime fusione, gli elementi decorativi con quelli scenografici, da cui Noto ricava, nell’assetto urbano, il suo peculiare carattere,
esempio singolo in Sicilia.

Ippodamo di Mileto, primo architetto di cui ci sia giunto il nome che sfruttò l'opportunità di costruire le città secondo schemi planimetrici regolari, introducendo nel mondo greco la pianta "a griglia", cioè con le strade che si intersecano ad angolo retto, delimitando ordinatamente i quartieri residenziali, gli edifici pubblici e i mercati. Sosteneva inoltre che la città ideale avrebbe dovuto ospitare al massimo 10.000 abitanti, divisi in tre classi: quella degli artigiani, quella degli agricoltori, e quella degli armati, i difensori della patria.

Lo schema attribuito a Ippodamo, detto appunto schema ippodameo, si basava su tre assi longitudinali chiamati πλατείαί, plateiai (in latino decumani), orientati in direzione est-ovest, intersecati da assi perpendicolari chiamati stenopoi (cardines), orientati in direzione nord-sud: l'intersezione di questi assi veniva a formare isolati rettangolari di forma allungata.

domenica 13 giugno 2010

Sicilia:Tra aromi e sapori




Per capire in profondità la Sicilia è necessario e importante evidenziare la più profonda identità della sua ricca e colorita cucina. La gastronomia, infatti, è da sempre considerata “Il gioiello” di questa regione tipicamente spettacolare per aromi e sapori. I popoli che nella storia hanno dominato la Sicilia, hanno contribuito ad arricchire di nuovi apporti, di insoliti gusti, i piatti tipici del luogo. È una civiltà multietnica, quella siciliana, che nel tempo ha conservato intatte le proprie caratteristiche. La tavola diviene, così, espressione di fantasia. In città o in campagna, nelle case più povere o nelle ricche dimore, le specialità non hanno nulla da invidiare alle gastronomie più celebri: una cucina essenzialmente agricola e marinara, a volte povera ma sempre genuina, che richiama in sé miti, leggende, religiosità, aristocratica bellezza e dolce poesia.
Anche il pasto frugale del contadino diviene occasione per dare sfoggio a una serie di pietanze dal gusto intenso ed accattivante. La preparazione e la combinazione dei sapori, i piatti pro fumati e colorati, sono serviti con vini importanti, anch’essi siciliani; la pasta è arricchita da deliziosi condimenti e da elementi genuini della terra e del suo mare pescoso

giovedì 10 giugno 2010

SELINUNTE



Selinunte Antica città della Sicilia, situata sulla costa sudoccidentale, allo sbocco del fiume Selinunte (ora Madione), vicino al moderno villaggio di Marinella (Trapani). La città fu fondata verso il 628 a.C. da un gruppo di dori provenienti dall'antica città siciliana di Megara Iblea, vicino a Siracusa. Dall'inizio del VI secolo a.C. i selinuntini ingaggiarono continue guerre con la potente vicina, Segesta, la città degli elimi. Nel V secolo Selinunte e Siracusa strinsero un'alleanza militare e la richiesta d'aiuto ad Atene da parte della popolazione di Segesta, attaccata da Selinunte, fu la ragione principale della disastrosa spedizione ateniese in Sicilia nel 415 a.C. Nel 409 a.C., durante l'invasione cartaginese dell'isola, Selinunte, che era una delle città più grandi, popolose e prospere della Sicilia, fu conquistata e distrutta. Venne ricostruita, ma non ritrovò più la prosperità di un tempo e verso il 250 a.C., durante la prima guerra punica (264-241 a.C.), fu nuovamente distrutta dai cartaginesi e i suoi abitanti vennero trasferiti nella vicina città di Lilibeo (l'odierna Marsala).

La città occupava un altopiano, terminante sulla costa con un promontorio, l'acropoli, ai cui piedi vi erano due porti. Il suo piano urbanistico, che risale al VI secolo a.C., è uno dei più antichi esempi di impianto regolare organizzato su assi ortogonali. A est e a ovest dell'abitato si ergevano due colline, occupate da importanti zone di santuari. Le vaste necropoli si estendevano intorno alla città.

Le rovine sono grandiose e suggestive. Si conservano le mura dell'acropoli e gli imponenti resti di alcuni templi – tre sull'acropoli (denominati A, C e D) e tre a oriente della città (E, F e G), superbi esempi dell'architettura dorica siciliana – dei quali non si conoscono le divinità a cui erano consacrati. Il colossale tempio G, forse dedicato ad Apollo o a Zeus, era uno dei più grandi templi greci conosciuti, lungo circa 113 metri, largo 54 e alto 30; iniziato intorno al 530 a.C., rimase incompiuto.

sabato 5 giugno 2010

LA CHIESA DI S. MARIA DELL’AMMIRAGLIO O MARTORANA


DIRITTI D'AUTORE ©
In alto,due dettagli del mosaico che raffigura la Natività ed il Transito della Vergine .



LA CHIESA DI S. MARIA DELL’AMMIRAGLIO O MARTORANA
Adiacente alla chiesa di S. Cataldo, si erge un altro edificio di culto, S. Maria dell’Ammiraglio, così detta perché innalzata nel 1143 per volontà di Giorgio di Antiochia, ammiraglio di Ruggero II, e nota anche come chiesa della Martorana da quando, nel 1436, venne assegnata per volontà del re.
Alfonso d’Aragona alle monache dell’omonimo convento, fondato appunto, nel 194, da Eloisa Martorana. Dell’originario edificio romanico ben poco rimane, dopo le trasformazioni e i rimaneggiamenti succedutisi nel corso dei secoli: spiccano ancora il campanile, riccamente decorato, a quattro ordini di archi e logge illeggiadriti da bifore, colonnine e tarsie, che in origine affiancava la facciata, e l’antico impianto a croce greca della chiesa, peraltro ampliato e allungato alla fine del Cinquecento con il conseguente aggiungersi di una nuova facciata su quello che anticamente era il fianco dell’edificio, della cupola e di un altar maggiore di chiara matrice barocca che conferiscono all’insieme un indubbio fascino eclettico. Nel Seicento la chiesa veline privata dell’abside cui fu sostituita una cappella affrescata, mentre nel secolo successivo fu gravemente danneggiata da un violento terremoto, L’interno, diviso in tre navate, presenta la parte alta delle pareti interamente rivestita cia splendidi mosaici, tutti originali e fra i più antichi dell’intera Sicilia. Realizzati probabilmente da maestranze bizantine alla metà del XII secolo, essi riproducono scene tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento, figure di Apostoli, Evangelisti e Profeti, il tradizionale Cristo benedicente che rifulge al centro della cupola, ma anche Ruggero TI, per l’occasione ritratto dal vero, che riceve la corona da Gesù e, sul lato settentrionale della navata, Giorgio di Antiochia ai piedi della Vergine. Gli affreschi della porzione mediana dell’edificio e del presbiterio, in parte attribuiti a Guglielmo Borremans, sono invece riconducibili alle modifiche sei-settecentesche. La chiesa è oggi officiata secondo il rito greco-bizantino, dopo che nel 1937 fu eretta a con cattedrale della diocesi di Piana degli Albanesi

giovedì 3 giugno 2010

San Giovanni degli Eremiti- Palermo



San Giovanni degli Eremiti è uno dei più caratteristici monumenti normanni di Palermo. La chiesa innalzata nel 1136 da Ruggero II, su un luogo dove un tempo dominava una moschea,rappresentò l'appendice splendida di un austero complesso monastico destinato in breve tempo a raggiungere grande ricchezza ed enorme potenza grazie ai privileggi concessi dallo stesso sovrano normanno.Nel cimitero del convento
avrebbero dovuto trovar sepoltura i membri della famiglia reale.
Oggi, San Giovanni degli Eremiti,con le inconfondibili cupole rosse,di matrice chiaramente orientale e le grandi finestre comprese entro arcate cieche a triplice ghiera, che si aprono nella parte alta del campanile, è uno tra i monumenti più visitati di Palermo.
Interessante i resti del chiostro adiacente alla chiesa e all'annesso convento.In questo chiostro, disegnato da una teoria di mirabili colonnine appaiate, in stile normanno,che sorreggono archi acuti e che circondono un grazioso pozzetto, i monaci usavano passeggiare e raccogliersi in meditazione; ci si inoltra di poi in un lussureggiante giardino odoroso di piante esotiche e aranci, gelsomini e rose,una stupenda oasi che pare avvolgere l'intero complesso.

mercoledì 2 giugno 2010

Siracusa




foto elioarte di Bugge Elio

Ara di Ierone II Secolo III a.C.




Sull’isolotto di Ortigia, primigena culla della civiltà greca in Sicilia, distesa lungo la ridente costa con i dolci declivi dei monti iblei che la fanno da anfiteatro ricoperti da oliveti secolari, rigogliosi frutteti e vigneti, la millenaria Siracusa, splendente nella purezza del suo cielo, della bellezza del suo mare, avvolta in un clima di perenne dolcezza è, ancora oggi, qui a testimoniare, con i resti grandiosi dei monumenti del passato e la sua epica storia, il proprio destino di città immortale.
Siracusa viene fondata nel 734 a.C. da coloni Corinzi, guidati da Archia, condottiero leggendario. Cacciati i Siculi che stazionavano sull’isola di Ortigia (Ortyx - quaglia in greco), ne presero possesso, costituendo Il primo nucleo della città. Ben presto l’abitato si estese sulla terraferma con i nuovi quartieri di Tyche Acradina e Neapoli e nel breve volgere di alcuni decenni vennero fondate le colonie di Akrai (664), Casmene (624) e Camarina nel 599 a.C.
Siracusa, così chiamata dai Greci dal nome siculo di una palude limitrofa all’isola dl Ortigia, crebbe talmente da essere considerata, soprattutto con Diogi, la città più estesa e popolata dell’antichità in competizione con Atene. Cartagine e Roma.
Sino a tutto il VI sec. le fonti storiche sono avare di notizie. All’interno il potere veniva esercitato dai gamori (aristocratici proprietari terrieri) che tenevano in soggezione i Killirioi (gruppo etnico composto prevalentemente da elementi siculi sottomessi).
Agli inizi del V sec. i gamoroi. cacciati dalla città da una rivolta popolare, chiedono aiuto a Gelone tiranno di Gela (della dinastia dei Dinomenidi). Costui viene acclamato re e riconduce al potere gli aristocratici. Inizia per Siracusa un grande periodo di prosperità e splendore. Gelone raccolse intorno a sé tutte le città greche di Sicilia, minacciate dall’espansione territoriale dei Cartaginesi che tendevano alla conquista dell’Isola. Gli eventi di questa lunga e dura guerra, videro l’affermazione delle schiere siracusane che culminò, in alleanza con l’esercito agrigentino condotto da Terone, nella memorabile vittoria di Imera del 480 a.C.
Alla morte di Gelone nel 478, gli successe il fratello Ierone. Grande mecenate e protettore delle arti, accolse alla sua corte filosofi e poeti, tra i quali Pindaro, Eschilo e Simonie. Valoroso sovrano sconfisse gli Etruschi a Cuma (474), consolidando la supremazia sull’isola ed espandendo l’influenza greca nell’ italia meridionale. Con Trasibulo, successore di Ierone, si estingue la dinastia dei Dinomenidi. Costui, tiranno violento e crudele, venne indotto alla fuga dalla ribellione degli stessi siracusani e delle città greche assoggettate,e la città si diede un governo democratico. La potenza siracusana che aveva avuto ragione delle città ioniche di Sicilia, fu fonte di preoccupàzioni per Atene che inviò una poderosa flotta, condotta da Alcibiade, nell’inìento di spezzare l’egemonia di Siracusa in atto nell’isola. Dopo alcuni successi iniziali di Atene, Siracusa che aveva chiesto l’intervento di Sparta, riuscì vittoriosa nello scontro svoltosi nelle acque del Porto Grande di Ortigia nel 413. Con Dionigi la città conobbe un grande sviluppo. Vennero intraprese imponenti opere di fortificazione militare con l’erezione del castello Eurialo, l’ampliamento dei porti, cingendo di mura l’Epipoli e l’Ortigia e innalzando edifici monumentali che fecero di Siracusa una delle più vaste metropoli dell’antichità. Si narra che in questo periodo la città raggiunse un milione di abitanti.
Dal 407 con Dionigi fino alla morte di Agatocle neI 279 a.C. Siracusa combatte innumerevoli battaglie contro l’eterna nemica Cartagine. Dionigi, dopo aver consolidato le difese della città, mosse guerra per ben quattro volte ai Cartaginesi, senza però riuscire a cacciarli definitivamente dalla Sicilia. Protagonisti del secolare conflitto furono inoltre Timoleonte di Corinto che al comando di mille uomini, nel 343, liberò la città dall’assedio cartaginese e ristabilì l’ordine interno prevaricato dalle fazioni in lotta. Morì nel 336, dopo essersi ritirato a vita privata, rifiutando onori e prebende. Nel 317, Siracusa cadde sotto una nuova dispotica tirannide con Agatocle.
Costui, ambizioso e risoluto e valoroso condottiero, nel 313 a.C., vinse il blocco che i Cartaginesi avevano posto alla città, nel tentativo di espugnarla, facendo prigioniero e mettendo a morte Amilcare stesso. Portò, quindi, audacemente la guerra in Africa, assediando Cartagine (310-300 a.C.). Conclusa la pace, estese l’influenza siracusana su quasi tutta la Magna Grecia, lasciando, alla sua morte, nel 289, una città prospera e potente. Minacciata, per l’ennesima volta, dai Cartaginesi, Siracusa chiede aiuto a Pirro, re. .
TEATRO GRECO - Il teatro viene considerato come il più fulgido esempio di architettura greca, che ci sia stato tramandato. Sin dal VI sec. a.C. vi si tennero spettacoli e l’attività teatrale continuò per oltre mille anni. Nei secoli successivi il teatro subì trasformazioni e ampliamenti. Nel 475, all’epoca di Ierone I, la cavea venne tagliata nella viva roccia e risistemato l’edificio scenico. Con Timoleone assunse la forma semicircolare, vennero aperte due strade di accesso e portate a compimento opere di stabilizzazione strutturale. Le dimensioni attuali vennero realizzate con Ierone II, talché la cavea, poteva contenere sino a 15.000 spettatori seduti.