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domenica 6 febbraio 2011

Lattimo




Il Lattimo è una pasta vitrea dal colore del latte, detta talvolta a Murano anche lattesino. Era composta in origine con ceneri di ossa calcinate, e comunque a base di piombo e stagno.
Perfettamente opaca, servì per imitare la porcellana, sin dal secoloXVI, impiegata con grande fortuna nel XIII, sia in Italia (Venezia), sia in Inghilterra (opaque white glassnb), in Germania, Spagna e Francia (blanc-de-lait).

Lo stesso lattimo trovò larghissimo impiego in un’altra tecnica, genialmente sviluppata dai maestri veneziani: quella del reticello o filigrana, nasce dall’uso delle filettature a canna sottile, impiegate su andamento parallelo oppure a spirale, o ad intreccio, così da ottenere una rete sottile che sembra avvolgere l’oggetto intero. Con questa tecnica a vennero fatti vasi per fiorì, coppette, tazze, piatti da pompa.
La filigrana talvolta, è ravvivata dall’inserirsi di fili colorati (in azzurro o più spesso in rosso) con canne intrecciate a spirale.

venerdì 4 febbraio 2011

Lavorazione del vetro.

Vetro soffiato e ingabbiato direttamente nel suo supporto.

LAVORAZIONE DEL VETRO
Gli strumenti a disposizione sono, ancora oggi, all’incirca a quelli che si usavano per il passato. Anzitutto la canna da soffio, il mezzo cioè che all’atto della sua invenzione (nel I secolo, circa, dell’Era Cristiana) ebbe a rivoluzionare la tecnica vetraria, aprendo possibilità assolutamente nuove. Prima di tale epoca la lavorazione del vetro avveniva modellandolo a caldo, col sistema della colatura. Ma con tale mezzo se era possibile ottenere forme varie con l’uso di appositi stampi, più difficile era la costruzione di oggetti vuoti all’interno, se non di misura assai piccola, come ad esempio i balsamari egizi, modellati su forme friabili che venivano poi distrutte. L’invenzione del metodo a soffio rese invece possibile la fabbricazione di vetri cavi anche di notevole capacità e misura, e nelle forme più diverse.
La canna da soffio è un tubo in ferro, di diametro assai ristretto, e della lunghezza di un metro ed anche più (sino a 1,45); di poco svasato in una delle estremità, è più ristretto dalla parte dove l’artigiano pone la bocca. Prelevata, con la canna stessa, una Piccola parte di massa fusa, attraverso l’apertura del forno (questa pasta, che si presenta molle, -incandescente e appiccicosa viene denominata bolo), il maestro la arrotola poggiandola sopra una piastra di ghisa che sta presso il forno medesimo; tale piastra, che un tempo era di bronzo, si chiama ancor oggi bronzino o bronzin. Successivamente si soffia entro la canna ampliando in tal modo la massa che tende ad assumere forma sferica. La forma è modificata nella lavorazione successiva e viene allungata o modellata secondo gli intendimenti del maestro, che a tale scopo si vale di qualche strumento, badando a mantenere alla materia il necessario grado di malleabilità col sottoporla di tanto in tanto al calore del forno. Altro strumento essenziale è la borselia ,specie di molla di ferro con cui si può modellare’ e praticare fori nella massa soffiata a globo, ad esempio quando se ne voglia ricavare un vaso o comunque un vetro cavo. Vi. sono numerose varianti di borselle, secondo le operazioni cui sono destinate. Inoltre si usano delle cesoie per tagliare il vetro e togliere le eccedenze, un compasso per controllare l’esattezza delle misure, e qualche altro arnese accessorio. Il vetraio compie il suo lavoro più impegnativo stando seduto su di uno speciale scranno (a Murano è chiamato ) o sedile di legno, dotato di braccioli alquanto protesi per appoggiarvi la canna da soffio o la canna sussidiaria detta pontello, a ferro pieno, con le quali la massa può essere fatta rotare agevolmente.
Durante il procèsso della lavorazione, il maestro viene assistito da altri lavoranti o garzoni. Ad opera compiuta il pezzo viene passato nella fornace di ricottura (la tempera dei Muranesi), dove avviene il raffreddamento, con la dovuta lentezza poiché il vetro ancora incandescente non può essere esposto a brusche variazioni di temperatura senza che ne sia compromessa la stabilità e la durata. All’artigiano è spesso di guida un disegno preventivamente fornitogli, o da lui steso concepito, oppure la presenza di un oggetto del quale debba ripetere la forma;. talvolta è la sua fantasia che, col solo aiuto dell’esperienza tecnica, gli guida la mano. La materia informe tende possibile questo processo creativo; così puro e mirabile che per certi aspetti sì. accosta solo all’attività dell’artista nel campo figurativo.
Talora, per ragioni economiche, la forma dell’oggetto viene ottenuta con un sistema più semplice e soprattutto più rapido.                             



                                                
brocca e bicchieri in vetro rosso soffiato
anno di fabricazione 1918


mercoledì 2 febbraio 2011

L'arte nel Vetro.

Lalique.

René Jules Lalique (Ay6 aprile 1860 – Parigi1º maggio 1945) è stato un disegnatore e vetraio francese.

Le sue creazioni, raffiguranti soprattutto elementi naturali, animali e nudi femminili, si distinsero dapprima nell'ambito dell'Art Nouveau e in seguito in quello dell'Art Déco. Orafo, vetraio e disegnatore, lavorò per Cartier, ideò gioielli per Sarah Bernhardt e riscosse grande successo in occasione dell'esposizione universale di Parigi del 1900.

Affidandosi più all'originalità del disegno e alla qualità della lavorazione che al valore del materiale utilizzato, Lalique ricorse ad esempio all'avorio, al corno e allo smalto per realizzare molti pezzi unici. Dai primi anni del Novecento applicò la propria creatività soprattutto al vetro








il cinese
monoblocco di vetro  di Archimede Seguso
murano Venezia







lampadario di vetro di Archimede Seguso





COMPOSIZIONE DEL VETRO
Il vetro è certamente una delle materie più straordinarie affascinanti che l’uomo abbia creato tra le più antiche nella storia della sua civiltà. Difficilmente corruttibile agli agenti chimici ed all’azione del tempo, è modificabile soltanto con la piena fusione a temperatura molto elevata. Per questo ha avuto e continua ad avere applicazioni diversissime che interessano su larga scala la produzione artistica. La sua composizione è delle più semplici essendo sufficiente alla sua nascita l’unione di poche materie prime: la silice, che sì ricava dalla sabbia, la calce o carbonato dì calcio e un alcale adatto alla fusione, cioè la soda. Infatti i primi vetri soffiati prodotti in Siria con l’affacciarsi dell’era cristiana, sì giovarono delle sabbie, ricche di contenuto siliceo, che poteva fornire la foce del fiume Belus, secondo quanto ci narra Plinio il Vecchio; esse si fondevano con l’aiuto delle ceneri di piante costiere provenienti dal delta del Nilo dalle quali si ricavava il cosiddetto natron o natro (cioè carbonato idrato di sodio), o soda.
In una composizione così essenzialmente semplice sì inserirono, con l’evolversi della tecnica, altre materie sussidiarie per ottenere la decolorazione del vetro o per conferirgli tinte particolari. Inoltre la sostituzione di una delle componenti portava a modifiche sostanziali creando varianti quale ad esempio il cristallo.
Possiamo quindi considerare diversi tipi di vetri secondo la loro composizione. Il più comune, usato negli oggetti di produzione corrente, è il vetro sodico. Basato sugli elementi essenziali (silice e carbonato di calcio fusi con la soda),la sua formula chimica può così trascriversi: Na20, CaO, 55i02.
Pur essendo trasparente, il vetro tende ad una colorazione verdastra specie se portato a grosso spessore. Tale colorazione è dovuta alla presenza di minerali, specie all’ossido di ferro contenuti nelle sabbie, ed è facilmente riscontrabile nella produzione meno raffinata della vetraria romana e medioevale, benché già ai tempi di Plinio si conoscesse l’uso del manganese (il «magnes lapis ») come materia purificante di cui parleremo più innanzi.
Nei paesi lontani dal mare, dove il fondente a base sodica era di difficile importazione, si usò in sua vece un fondente potassico estraendo il carbonato dalle ceneri di vegetali, in particolare dai faggi e dalle felci abbondantemente presenti nei boschi delle terre montuose dell’Europa centrale. Per questo il vetro potassico così formato fu chiamato anche vetro di foresta (verre de fougère per i paesi di lingua franca, Waldglas per i Germani), e divenne tipico delle fornaci nordiche dopo la caduta dell’Impero Romano. Ne è caratteristica la materia di cui sono composti i vetri medioevali della zona renana, e in genere dell’Europa nord-occidentale, i cosiddetti « teutonici» e quelli « gotici» prodotti tra il VII ed il XV secolo.
Si riconoscono dal colore verde scuro e anche, nei tipi più chiari, dall’intonazione giallo-bruna o verdastra. I Veneziani, avendo a portata di mano la soda che si ricavava facilmente anche dalle piante palustri, o si importava per via di mare sia dalla Siria (per questo era detta rocchetta di Levante o di Soria), sia dalla Spagna (la barilla o soda di Spagna), prediligevano e continuavano ad usare il vetro sodico o marittimo, ben distinto da quello potassico o di foresta.
L’introduzione dei silicati di calcio e di potassio divenne poi prerogativa di un altro tipo di vetro, che più propriamente si chiama cristallo.

Ricco di straordinarie proprietà di durezza trasparenza e brillantezza, che non si possono ottenere dalla composizione sodica, ispirò e rese possibili a Tedeschi e Boemi quelle lavorazioni particolari con cui invasero i mercati europei nel XVIII secolo.
La sostituzione della calce con l’ossido di piombo portò alla creazione di un altro tipo di cristallo assolutamente incolore e limpido, a forte potere rifrangente. Esso si identifica nel cristallo d’Inghilterra, dove venne fabbricato la prima volta nella seconda metà del Seicento; venne chiamato « glass of lead» (di piombo) oppure flint glass poiché la silice era in origine ricavata dai ciottoli di fiume.
Il termine rimase anche quando si sostituì la sabbia ai ciottoli, ed è tuttora in uso mentre si impiega l’ossido salino di piombo, cioè il minio (Pb3 04). Con i perfezionamenti tecnici apportati dal Ravenscroft, il flint glass o vetro piombico diede risultati suggestivi, dato che si prestava alla decorazione ad intaglio o incisa; perciò ebbe largo impiego specialmente nella cristalleria da tavola (bicchieri, caraffe, bottiglie) pur non raggiungendo la perfezione di trasparenza e solidità del cristallo boemo. Oggi,sia il cristallo a base potassica sia il mezzo cristallo di produzione più economica, sono largamente impiegati nel campo commerciale per gli articoli casalinghi, le lastre da vetrine, e in genere nella moderna edilizia.



La composizione più elementare, nata col vetro soffiato durante la civiltà romana,subì attraverso i tempi, oltre a quelle sopra accennate, altre varianti allo scopo di ricavarne effetti diversi. Anzitutto va ricordato l’impiego del biossido di manganese (o pirolusite) già noto anticamente e adottato anche nella vecchia Murano come decolorante, tanto che venne popolarmente chiamato « sapone dei vetrai ». La sua formula (Mn02) offre la proprietà di ossidare i sali ferrosi, formando il silicato di manganese e quindi eliminando per quanto possibile l’effetto dell’ossido di ferro contenuto nella silice (SiO2).
Invece per ottenere il vetro colorato si potevano aggiungere materie diversissime: in genere ossidi o sali metallici, come l’ossido di rame che dà la tinta detta «acquamarina)), quello di cobalto per l’azzurro, il bismuto per il rosso, il manganese per il violetto; altre particolari terre dette cc rare davano modo di ottenere le più svariate sfumature, dal bruno fumoso (il classico fumée) al tenue violetto, al rosa latteo con effetti opalescenti, brillanti, oppure opachi:
questi ultimi, che un tempo erano ottenuti con l’impiego di ceneri d’ossa, si fecero in seguito con l’ossido di stagno e con l’acido titanico. Naturalmente, il progresso delle scienze e lo sviluppo della tecnica moderna nel campo chimico hanno offerto e vanno aggiungendo possibilità sempre nuove. Così, ad esempio, a Murano si è sostituito il bismuto col cadmio e il selenio, ed anche l’acido cloroaurico (HAuC14) per raggiungere un rosso più brillante tendente al viola; oppure l’ossido dì ferro e di manganese per le sfumature fumose, oppure come opacizzanti il fluoruro di calcio (Ca F2), la criolite (A1F3 3NaF), il fluo-rosìlicato sodico (Na2Si F6), l’anidride arseniosa e l’antimonio. Il complicarsi e moltiplicarsi dei procedimenti atti a modificare la materia vetrosa non sono che una riprova delle meravigliose infinite risorse che essa può offrire.



  1.                  teiera di vetro  ichendorf Milano
  2. obiettivo  di ichedorf è la ricerca di forme belle e leggere-


  forma pura anzichè il decoro.