auto antiche e moderne

venerdì 28 febbraio 2020

Riposo durante la fuga in Egitto opera del Caravaggio

Data di produzione: 1595-1596
Dimensioni: 135,5 x 166,5 cm
Dove si trova: Galleria Doria Pamphilij, Roma
Voglio parlarti prima di tutto della commissione dell’opera: devi sapere che ci sono delle teorie contrastanti a tale proposito, ed ancora oggi la discussione è ancora accesa.
A dar vita a queste diverse scuole di pensiero, sono gli evidenti riferimenti nel riposo dalla fuga in Egitto Caravaggio, al tradizionale mondo cristiano ed anche a quello musicale.
Alcuni studiosi ritengono che questo quadro fosse stato realizzato per Girolamo Vittrici, cognato di Prospero Orsi, un grande amico di Caravaggio; dopo la morte di Girolamo, sua sorella vendette il Caravaggio Riposo durante la fuga in Egitto a Camillo Pamphilij, arrivando, di conseguenza nell’omonima galleria.
Adesso voglio farti una descrizione di questo quadro di Caravaggio: dando una rapida occhiata, puoi facilmente notare che lo stile pittorico differisce dagli altri capolavori di questo artista; guarda ad esempio i colori, che sono molto luminosi e permettono una perfetta visione di tutta la scena (elemento molto raro nei quadri di questo artista).
Devi sapere che facendo leva sul suo tradizionale chiaroscuro, Caravaggio metteva in risalto i soggetti ritratti grazie ai propri colori, ma in questo quadro, il discorso non è valido.
Divisione della scena in due parti riposo durante la fuga in Egitto Caravaggio analisi
Divisione della scena in due parti (a sinistra con Giuseppe=povertà/ a destra Vergine con Bambino= Vita Eterna)
Guarda la natura che circonda tutta la scena: devo avvertirti che questo è un elemento da leggere in chiave allegorica; ci sono dei rami ed alcune piccole piante accanto a Giuseppe, ed alludono alla siccità e la povertà; se volgi lo sguardo alla Vergine ed il Bambino, invece puoi vedere che la natura è ricca e rigogliosa.
Diamo un’occhiata più da vicino alle piante sotto ai piedi della Vergine: c’è l’alloro, il quale, allegoricamente allude alla verginità (un attributo ricorrente per Maria), ed inoltre, sono presenti anche il cardo e la spina della rosa, i quali sono simboli della Passione; infine, c’è anche un Tasso barbasso, altro fiore che rappresenta la Resurrezione.
A questo punto, devo necessariamente citare l’ipotesi di Maurizio Calvesi, il quale, ha teorizzato una lettura particolare di questo Caravaggio fuga in Egitto: secondo lo studioso, l’artista ha voluto rappresentare un percorso della salvezza per i Cristiani.
In effetti, se leggiamo l’opera partendo da sinistra, si trova Giuseppe con i già citati elementi di povertà, per poi spostare lo sguardo a sinistra, dove si trovano la Vergine con il Bambino, i quali, circondati da elementi di natura rigogliosa, alludono alla beatitudine.
Calvesi, inoltre, teorizza che questo quadro possa essere legato al celebre Cantico dei Cantici, poiché ci sono alcune evidenti somiglianze tra il testo e la scena rappresentata da Caravaggio.
Fino ad ora non ti ho parlato dell’angelo di spalle in primo piano, ma è una figura fondamentale: sta suonando mentre legge lo spartito retto da Giuseppe.
L’aspetto estetico dell’angelo è molto interessante: presenta i tradizionali attributi divini, ma indossa un piccolo velo che permette di vedere le forme del suo corpo, rendendolo molto simile ad un semplice ragazzo (a parte per le ali).
Guarda più attentamente l’angelo: sapresti dirmi se è maschio o femmina? I suoi capelli biondi raccolti da un laccio, lascerebbero pensare che si tratti di una donna; ma le sue gambe sono muscolose, proprio come quelle di un uomo.













Arrigoni Luigi 800 italiano

uigi Arrigoni ( Piacenza, 1896 - 1964 ).
Si dedica alla pittura e alla musica, espone in diverse città italiane in personali e collettive. Gli esordi sono caratterizzati da una pittura cupa, stesa con larghe campiture di colore, ma dagli anni Venti i colori si schiariscono e vengono stesi con spatole che creano soluzioni materiche e corpose. Dipinge sogni e visioni intrise di problemi esistenziali e preoccupazioni tipiche della generazione del dopoguerra.


(1896-1964). Con Luigi Arrigoni si inaugura la terza mostra incentrata sugli artisti attivi negli anni tra le due guerre. Come si è già visto per Aldo Carpi e Donato Frisa, anche in questo caso si è di fronte ad un pittore che rifiuta di schierarsi al fianco dei movimenti. Quando è ancora impegnato in campo musicale declina l’invito rivoltogli da Marietti di entrare a far parte del gruppo futurista, mentre negli anni Trenta non aderisce al Chiarismo, sebbene vi sono diversi punti in comune e sussista un legame di amicizia e stima con Angelo del Bon, il principale esponente di questo Movimento pittorico. Arrigoni è interessato a conoscere le manifestazioni artistiche del suo tempo ed è disposto ad assimilare i valori estetici solo se affettivamente necessari alle sue esigenze linguistiche. L’artista preferisce condurre la ricerca pittorica in libertà ed autonoma, nel pieno rispetto della propria sensibilità artistica, anche a costo di trascurare ogni rapporto col mercato. Ne deriva un percorso creativo autentico ma di visibilità ridotta poiché il rifiuto di ogni presupposto economico lo esclude dalle iniziative promesse dalle Gallerie private e riduce l’attenzione da parte della critica. Tutt’oggi Luigi Arrigoni resta un artista non sufficientemente studiato e poco conosciuto, dal grande pubblico. La sua immagine è ancora associata ad una realtà provinciale, forse per il forte legame con la città di Monza e la circostante Brianza. A questo errore Filippo Abbiati dedica uno scritto intitolato “Maestro di provincia per nulla provinciale”, dove mette a fuoco uno spessore culturale che rafforza l’indirizzo pittorico scelto e smentisce i giudizi negativi. Le opere selezionate abbracciano un arco di otto anni, dal 1932 (Nevicata al Coenobium) al 1939 (Sole d’inverno), e interessano il genere del ritratto e del paesaggio. A quest’ultimo si è voluto dare maggiore risalto perché domina gran parte della sua attività pittorica. Essa si svolge en plein air, a diretto contatto con la natura, senza per questo toccare i rigori del realismo. Nei suoi quadri emerge spesso un alone di poesia che sospende ed interroga come in Il tandem (1939). E il quadro che chiude la mostra non solo per ragioni cronologiche ma anche perché rappresenta l’incontro ideale tra il paesaggio e il ritratto.

      ritratto di Lluigi Arrigoni  dipinto del   pittore Gaetano  Previati 

Biografiadi Previati Gaetano Previati (Ferrara, 31 agosto 1852 – Lavagna, 21 giugno 1920) è stato un pittore italiano che, dopo una giovanile esperienza nella Scapigliatura 

Nel 1876 si trasferisce da Ferrara a Milano dove frequenta l'Accademia di Belle Arti di Brera, vincendo nel 1879 il concorso Canonica con il quadro Gli ostaggi di Crema.
Nel 1881 si stabilisce definitivamente a Milano dove entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura. Partecipa alla I Triennale di Brera del 1891 con l'opera Maternità in cui rende esplicita la sua adesione al divisionismo, di cui sarà anche teorico, e ai temi simbolisti[1].
A partire dal 1895 e fino al 1914 è invitato alle esposizioni internazionali d'arte di Venezia, dove nel 1901 e nel 1912 è presente con due mostre personali.
Nel 1907 partecipa all'allestimento della "Sala del sogno" della VII Biennale di Venezia ed espone al Salon des peintres divisionnistes italiens organizzato a Parigi dal mercante Alberto Grubicy. Questi, con il fratello Vittore, fonda nel 1911 la Società per l'Arte di Gaetano Previati, acquistando un nucleo consistente di suoi dipinti che verranno esposti nelle mostre organizzate a Genova (1915) e a Milano (1916 e 1919).
Fra le sue opere più importanti, La Maternità, dipinta nel 1890 e presentata nella Triennale di Brera dove riscontrò discussioni vivacissime per la tecnica esecutiva: una donna, seduta sotto un albero, si china teneramente sul bimbo a cui offre il seno mentre intorno la circondano figure evanescenti di angeli.
Colpito da dolorosi lutti famigliari, muore nel 1920 all'età di 67 anni a Lavagna, cittadina ligure dove già da tempo soleva trascorrere lunghi soggiorni.



mercoledì 26 febbraio 2020

Aldo Carpi 800 italiano

autoritratto di Aldo Carpi


CarpiAldo. - Pittore italiano (Milano 1886 - morì 1973). Studiò con C. Tallone a Brera, dove poi insegnò (1931-58). Fu in contatto con il futurismo e con il Novecento mantenendo una sua ricerca autonoma, espressa in grandi composizioni religiose, storiche, nei paesaggi e nei ritratti, e in disegni che drammaticamente riflettono le sue esperienze della prima guerra mondiale e della prigionia nei campi di Mauthausen e Gusen.

                                       

Oggi, 29 aprile, alle 18 nella Sala Napoleonica dell’Accademia di Brera e alle 19.30 al Memoriale della Shoah, si inaugura la mostra «Aldo Carpi. Arte, vita, Resistenza», che resterà aperta fino al 29 maggio 2015. 

Qui raccontiamo la storia di Aldo Carpi, pittore, deportato a Gusen, campo-satellite di Mauthausen, in Austria, dove soltanto il 2 per cento dei prigionieri riuscì a sopravvivere. Lui si salvò grazie al suo talento e fu autore – a rischio della vita – dell’unico vero diario in presa diretta all’interno di un campo di sterminio. Un uomo verticale, un Giusto che ha conosciuto e patito le sofferenze più atroci, ma che non si è mai piegato a «riconoscere la presenza attiva del “male” nel  cuore dei suoi simili», come scrisse il celebre critico d’arte Mario De Micheli. 

Achille Funi 800 italiano

Achille Virgilio Funi (Ferrara, 1890 –nato ad  Appiano Gentile,Diplomatosi nel 1910 presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, dove poi insegnerà dal 1939 al 1960, nel 1914 aderisce al movimento futurista. Elabora una sua particolare versione del futurismo, molto dinamica e originale, per quanto riguarda la suddivisione delle forme e dei volumi. Attraversa un periodo di tentennamenti non sapendo decidere se aderire totalmente al futurismo. Mantiene una certa distanza dal movimento: l’interesse per le forme piene, tipiche del Cézanne riletto da Picasso, lo attrae assai più del vorticoso dinamismo futurista. Nel 1922 nasce il gruppo di Novecento e lui è tra i suoi fondatori. La linea teorica del gruppo si orienta verso un recupero della tradizione classica italiana rivisitata alla luce delle esperienze delle avanguardie degli inizi del secolo. Le sue figure femminili, le nature morte e i ritratti, al di là dell’esplicita aspirazione neoclassicistica, si rifanno alla tradizione artistica ferrarese. ottiene  la cattedra di pittura all’Accademia Carrara di Bergamo e successivamente ne diviene direttore. Negli anni ’50 torna ad insegnare a Breraa. . Spento l’eco delle dichiarazioni futuriste del Manifesto tecnico del 1910, ora si parla di “umanità”, di centralità dell’uomo nella pittura. Importante la sua opera di affrescatore e di mosaicista: decorazioni ad affreschi per la Triennale di Milano dal 1930 al 1940, affreschi nella chiesa del Cristo Re a Roma, in S. Giorgio Maggiore e nel Palazzo di Giustizia a Milano. Grande mosaico nella basilica di S. Pietro a Roma. Nel 1945 





Achille Funi    autoritratto
      



l'oro e la doratura: ormolu


Prima di parlare di doratura, bisognerebbe inquadrare il materiale grazie al quale è possibile creare questa affascinante tecnica decorativa. Ovvero l’oro (giallo).
     




https://elioarte.blogspot.com/2014/02/ormolu.html
Per via della sua particolare lucentezza, è considerato (da sempre) il più prezioso dei metalli. Non solo. Proprio grazie al suo aspetto, è sempre stato simbolo di ricchezza, prestigio sociale o del divino.
E la sua storia, miei cari lettori, ha origini antichissime. Sin dalla nascita della civiltà, l’elemento decorativo per impreziosire sculture, dipinti, mobili, suppellettili, abiti, ecc …era proprio l’oro. Secondo gli archeologi, infatti, ricoprire gli oggetti con un materiale inalterabile come l’oro alludeva al desiderio di preservarlo nel tempo, rendendolo eterno. Una delle sue caratteristiche più importanti, è proprio il fatto che non si corrode nel tempo.



martedì 25 febbraio 2020

Lago di Bellagio

         Lago di Bellagio  cm 40 x 30 olio su  compensato non firmato attribuibile a cesare  Monti

giovedì 13 febbraio 2020

La morte di di santa Elisabetta Di Antonio d'Enrico meglio conosciuto come TANZIO DA VARALLO


Elizabebetha fugit cum prole senex in eremum
Angeli opem celeres auxiliumque ferunt
His dulcem moriens gnatum commendat
inde defunta in coelum tollitur altiurium






vecchia Elisabetta fugge con il figlio in un luogo solitario. Svelti gli Angeli recano soccorso e aiuto.Morente ad essi affida il   dolce neonato;infine,morta,è portata nel più alto dei cieli


WWW .bIBLIOTECA aNGELICA  BENICULTURALI .IT   ILLUSTRIUM IMAGINES  INDEX DAL MEDIOEVO AL BAROCCO INCISORE ANONIMO DEL SECOLO  17°  bIBLIOTECA aNGELICA  Roma 




Tanzio da Varallo inventò il realismo trascendente

I due "Davide e Golia" sono capolavori assoluti. Nelle tele fondeva lessico naturalistico, sintassi manierista e messaggio di fede


Basta dire che il suo è il più bel Davide della intera storia della pittura (e anche della scultura)?
Parlo del David e Golia di Tanzio da Varallo conservato nella Pinacoteca della città di cui il pittore porta in giro il nome. È un ragazzo biondo con i capelli ricci, la pelliccia sulle spalle, il carniere da cacciatore e una sciabola affilata a Brescia, che, con il braccio teso e muscoloso, mostra la testa mozza, e già puzzolente, di Golia.
È esattamente l'opposto dei bacchi lascivi e pigri di Caravaggio ma è anche il titolare di un altro primato.
Chi è l'autore del secondo Davide più bello della storia dell'arte? Non è un gioco: è ancora Tanzio da Varallo con l'altro Davide e Golia conservato nella stessa Pinacoteca. Questa volta il ragazzo castano, con i capelli ricci, parente dell'altro ma meno efebico, meno femmineo, più un «tipo», esibisce la preda come un trofeo, senza ombra di malinconia. Ma sono fratelli? Sono cugini? Sono valligiani? O non hanno la stolida convinzione di agire in nome del bene degli impietosi aguzzini dell'Isis? Se ancora indulgiamo al parallelo con Caravaggio, mettendo a confronto i due David di Tanzio con quello estremo della galleria Borghese, dove un giovane bellissimo, lontano dai bacchini giovanili, ha il volto malinconico che rivela il senso di colpa di chi ha ucciso pur per una giusta causa, avvertiremo la differenza di vitalità e di energia delle opposte psicologie, tra cieca convinzione e tormentoso dubbio. Caravaggio evidenzia la contraddizione identificandosi non con David ma con Golia in uno sconvolgente autoritratto. E, partendo di qua, ci potremo chiedere: qual è il Golia più espressivo della storia dell'arte? Senza dubbio quello del secondo Tanzio da Varallo, quello esibito come un trofeo, con la ferita aperta sulla fronte e gli occhi rovesciati sotto le palpebre: un morto tra i più vivi mai concepiti. Come si può definire l'estetica di questi formidabili, eroici, dipinti? Non è realismo, non è naturalismo, nel senso che si attribuisce alla rivoluzione di Caravaggio e dei caravaggeschi, con la sostanziale invenzione della fotografia. Pittura di realtà, ovvero identificazione dell'attimo decisivo così come si avverte in quel manifesto che è la Caduta di Saulo di Caravaggio per la Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma. Anzi! I personaggi di Tanzio sono sempre, sommamente, in posa. Ci guardano e vogliono essere guardati.
E non solo i due David ma anche gli allucinati San Giovanni Battista in un deserto accogliente, o il meraviglioso e incantato Sant'Antonio da Padova , un ragazzino dalle mani nervose che tiene il libro ermeticamente chiuso e un giglio provvisorio offertogli per strada da un mendicante. È un bambino determinato, un santo disarmato, a sua insaputa. Ma per tornare ai David, e anche al meraviglioso e inarrivabile San Sebastiano curato dai due ragazzi , non dalle pie donne, ora alla National Gallery di Washington, ci si chiede quale ne sia l'essenza poetica, oltre l'evidente e sublimato residuo naturalistico (la mirabile testa di Golia). C'è un atletismo michelangiolesco ancora di impronta manieristica che, pur tenendo conto di Caravaggio, non vuole oltrepassare la soglia di una bellezza ideale, seppur nevrotica e contrastata.
Viene da pensare a un'improbabile conoscenza di Pontormo e Rosso Fiorentino, e anche di Bronzino, mai versati in vernacolo e neppure in lingua lombarda, ma trasfigurati in una sublime opzione omosessuale che nessun pittore meglio e più di Tanzio ha interpretato, per quanto i San Sebastiano innumerevoli, tra Quattrocento e Seicento (penso, da ultimo, a quello danzante di Bernardo Strozzi), ne abbiano offerto ghiotta occasione. Mai nessuno ha esaltato l'orgoglio omosessuale, e probabilmente in modo preterintenzionale per l'assoluta spontaneità, come Tanzio; nessun calendario «intenzionale» concepito oggi, è andato più avanti, e neppure Caravaggio con i suoi ostentati femminielli. Tanzio identifica la bellezza dei ragazzi come una grazia di Dio incontaminata, innocente, o peccaminosa per necessità. I due ragazzi che curano e carezzano San Sebastiano sono due amici belli come lui, dalle carni bianche, dalla pelle liscia, dai riccioli d'oro. Neanche Sandro Penna avrebbe potuto immaginarli così belli. E Pasolini era troppo immedesimato nell'archetipo caravaggesco. Forse a capirne la natura di angeli biondi, trovando il modello del suo desiderio, poteva essere soltanto Giovanni Testori, che salendo al Sacro Monte per incontrarli, se ne è fatto poeta. E cercando tra la folla dei valligiani, nelle cappelle sul calvario fino al cielo di Gaudenzio, ha identificato nelle grandiose e scenografiche decorazioni, soprattutto di Tanzio, quel «Gran teatro montano».
Nato a casa Giacomolo, frazione di Alagna in Valsesia, in una famiglia di maestri architetti e scultori, Tanzio era quasi coetaneo di Caravaggio, che a venticinque anni andò a cercare a Roma, con escursioni in Abruzzo e a Napoli. Lo vediamo, più vicino al Cavalier Arpino che a Caravaggio, con la Madonna col bambino, S. Francesco d'Assisi e il committente a Colledimezzo . E poi nella Circoncisione di Fara San Martino e la Madonna dell'incendio sedato di Pescocostanzo. Tutte opere commissionate dall'ordine dei minori osservanti, espressione pura della spiritualità francescana. Scomparso Caravaggio e attenuandosi il suo fuoco che era però ancora vivissimo (il più giovane nordico Giovanni Serodine), Tanzio ritorna a casa e inizia a lavorare intensamente, a fianco del fratello Giovanni, agli affreschi delle nuove cappelle del Sacro Monte. La sintesi delle esperienze romane è nitida nella pala di Domodossola con San Carlo che comunica gli appestati del 1619: lessico naturalista, sintassi manierista. Tanzio ha fatto la resistenza a Caravaggio in difesa di un'incontaminata bellezza ideale. Non vuole essere un pittore della realtà. Semmai della verità rivelata. Giovanni Testori suggerisce: «La carne-carne del Caravaggio, il suo sangue-sangue, da una parte; i sudori sacri e nefasti, le ambiguità tra grazia e peccato, i lividi deliri dall'altra». Se Caravaggio è agnostico fino al rischio dell'ateismo, Tanzio è profondamente religioso, organico all'impresa pastorale di San Carlo, fiducioso nella devozione pedagogica del Sacro Monte, carico di fede in Dio, senza mai cedere a dichiarazioni e atteggiamenti devozionali, con artifici retorici. Il pittore della verità si confronta con la passione di Cristo, « verbum caro factum est ».
Eccolo affrontare, nella cappella XXVII, il Cristo condotto per la prima volta al tribunale di Pilato (1616-18), confondendo la sua umanità dipinta con quella plasmata del fratello Giovanni. Ed eccolo ancora, nella cappella XXXIV, davanti Pilato che si lava le mani (1619-20). Dieci anni dopo Tanzio dipinge nella cappella XXVIII Gesù di fronte a Erode . Architettura, scenografia, prospettiva, statue in terracotta, figure dipinte, in un perfetto illusionismo. Teatro. Anche oltre il grandioso Gaudenzio nella cappella del Calvario popolata di varia umanità. In altre cappelle si esprime, in un diverso vento barocco, Pier Francesco Mazzucchelli, il Morazzone. Ma il teatro di Tanzio «non è mai teatrale», è sacra rappresentazione di umana verità.
Oltre il Sacro Monte restano bei dipinti, affreschi e pale in San Gaudenzio a Novara (1627) e poi in chiese e pievi sperdute, tutte per Tanzio memorabili, Lumellogno, Vagna, Fontaneto d'Agogna, Cellio, Gerenzano. Memorabile per umanità, sentimento della famiglia, l'incontro tra Giacobbe e Rachele , ora alla galleria Sabauda, e alcuni intensissimi ritratti, tesi, nervosi, due a Brera e uno ora presso Etro.
Nel 1627 oltre agli affreschi per la Cappella dell'angelo custode, Tanzio lascia nella basilica di San Gaudenzio a Novara la grande tela Sennacherib sconfitto dall'angelo contrapposto al Giudizio universale di Pier Francesco Mazzucchelli, il Morazzone. Poco più tardi dipinge a Milano gli affreschi nel «santuario» della pittura barocca, in Sant'Antonio e Santa Maria della Pace. La gloria raggiunta è attraversata nel 1630 dal flagello terribile della peste (la stessa narrata dal Manzoni). E Tanzio ne dà conto nel Sennacherib di Novara, corpi lividi come in un lazzaretto sotto un cielo nuvoloso, fosco, ammorbato. Il dipinto esprime una potenza michelangiolesca e Testori lo definisce capolavoro supremo, certo uno tra i più alti raggiungimenti del secolo intero. L'impresa di Tanzio, che vive (e muore) presso il convento francescano di Santa Maria delle Grazie a Varallo, si chiude con gli affreschi della collegiata di Borgosesia, in una proiezione mistica, molto lontana da Caravaggio, che si esprime nel dolente Ma rtirio dei beati francescani a Nagasaki . Estremo atto di fede come tutta la sua opera perché l'unica realtà è quella di Dio.

mercoledì 5 febbraio 2020

colori di calabria dell'ing. Giuseppe Buggè

Come per l'opera i Colori d'autunnohttps://elioarte.blogspot.com/2011/11/colori-di-autunno.html



 già presente nel blog elioarte  anche  in questo dipinto possiamo osservare l'amore del pittore  per la sua     terra nativa   . L'ulivo rimane il tema dominante ,. la schiuma del mare lambisce le  radici di questo albero   centennario  , quasi a dargli  insolito vigore. E' una scena  non  frequente  ma presente  nel paesaggio della  tonnara di Palmi, la    dove  per diversi  lustri e     lo scoglio del'ulivo  fu un'attrattiva   del  posto.   Anche in  questo  dipinto i colori del paesaggio danno  al quadro  una propria  loro  forza   espressiva  caratteristica   di quei luoghi.


Autore: Sottili Enrico (1890/ 1977)

Cronologia: post 1900 - ante 1977

Tipologiapittura Como (CO), Musei Civici di Como. Palazzo Volpi

      Sottili Enrico fu un pittore del XX secolo . Nacque a Reggio Emilia nel 1890, morì a Sala Comacina nel 1977 all'età di 87 anni.


        Armonie Intelvesi Mattino a Laino 1927 Olio su Tavoletta cm25x 36   Opera firmata e datata in basso a sinistra al retro con titolo 

aggiudicata a Galleria  Elioarte asta 159  lotto 171 Sant'Agostino case d'Aste TORINO

donato al dott.Buggè  Ing. Giuseppe   a  merito delle  sue virtù artistiche iin  data  10  agosto 2021


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Notizie storico-critiche: Come ha osservato l'estensore della scheda cartacea: "E. Sottili insegnò per qualche tempo alla scuola d'arte di Cantù; fu poi a Milano e frequentò la scuola di Ottavio Grolla. in un primo tempo pittore di figura