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giovedì 13 febbraio 2020

La morte di di santa Elisabetta Di Antonio d'Enrico meglio conosciuto come TANZIO DA VARALLO


Elizabebetha fugit cum prole senex in eremum
Angeli opem celeres auxiliumque ferunt
His dulcem moriens gnatum commendat
inde defunta in coelum tollitur altiurium






vecchia Elisabetta fugge con il figlio in un luogo solitario. Svelti gli Angeli recano soccorso e aiuto.Morente ad essi affida il   dolce neonato;infine,morta,è portata nel più alto dei cieli


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Tanzio da Varallo inventò il realismo trascendente

I due "Davide e Golia" sono capolavori assoluti. Nelle tele fondeva lessico naturalistico, sintassi manierista e messaggio di fede


Basta dire che il suo è il più bel Davide della intera storia della pittura (e anche della scultura)?
Parlo del David e Golia di Tanzio da Varallo conservato nella Pinacoteca della città di cui il pittore porta in giro il nome. È un ragazzo biondo con i capelli ricci, la pelliccia sulle spalle, il carniere da cacciatore e una sciabola affilata a Brescia, che, con il braccio teso e muscoloso, mostra la testa mozza, e già puzzolente, di Golia.
È esattamente l'opposto dei bacchi lascivi e pigri di Caravaggio ma è anche il titolare di un altro primato.
Chi è l'autore del secondo Davide più bello della storia dell'arte? Non è un gioco: è ancora Tanzio da Varallo con l'altro Davide e Golia conservato nella stessa Pinacoteca. Questa volta il ragazzo castano, con i capelli ricci, parente dell'altro ma meno efebico, meno femmineo, più un «tipo», esibisce la preda come un trofeo, senza ombra di malinconia. Ma sono fratelli? Sono cugini? Sono valligiani? O non hanno la stolida convinzione di agire in nome del bene degli impietosi aguzzini dell'Isis? Se ancora indulgiamo al parallelo con Caravaggio, mettendo a confronto i due David di Tanzio con quello estremo della galleria Borghese, dove un giovane bellissimo, lontano dai bacchini giovanili, ha il volto malinconico che rivela il senso di colpa di chi ha ucciso pur per una giusta causa, avvertiremo la differenza di vitalità e di energia delle opposte psicologie, tra cieca convinzione e tormentoso dubbio. Caravaggio evidenzia la contraddizione identificandosi non con David ma con Golia in uno sconvolgente autoritratto. E, partendo di qua, ci potremo chiedere: qual è il Golia più espressivo della storia dell'arte? Senza dubbio quello del secondo Tanzio da Varallo, quello esibito come un trofeo, con la ferita aperta sulla fronte e gli occhi rovesciati sotto le palpebre: un morto tra i più vivi mai concepiti. Come si può definire l'estetica di questi formidabili, eroici, dipinti? Non è realismo, non è naturalismo, nel senso che si attribuisce alla rivoluzione di Caravaggio e dei caravaggeschi, con la sostanziale invenzione della fotografia. Pittura di realtà, ovvero identificazione dell'attimo decisivo così come si avverte in quel manifesto che è la Caduta di Saulo di Caravaggio per la Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma. Anzi! I personaggi di Tanzio sono sempre, sommamente, in posa. Ci guardano e vogliono essere guardati.
E non solo i due David ma anche gli allucinati San Giovanni Battista in un deserto accogliente, o il meraviglioso e incantato Sant'Antonio da Padova , un ragazzino dalle mani nervose che tiene il libro ermeticamente chiuso e un giglio provvisorio offertogli per strada da un mendicante. È un bambino determinato, un santo disarmato, a sua insaputa. Ma per tornare ai David, e anche al meraviglioso e inarrivabile San Sebastiano curato dai due ragazzi , non dalle pie donne, ora alla National Gallery di Washington, ci si chiede quale ne sia l'essenza poetica, oltre l'evidente e sublimato residuo naturalistico (la mirabile testa di Golia). C'è un atletismo michelangiolesco ancora di impronta manieristica che, pur tenendo conto di Caravaggio, non vuole oltrepassare la soglia di una bellezza ideale, seppur nevrotica e contrastata.
Viene da pensare a un'improbabile conoscenza di Pontormo e Rosso Fiorentino, e anche di Bronzino, mai versati in vernacolo e neppure in lingua lombarda, ma trasfigurati in una sublime opzione omosessuale che nessun pittore meglio e più di Tanzio ha interpretato, per quanto i San Sebastiano innumerevoli, tra Quattrocento e Seicento (penso, da ultimo, a quello danzante di Bernardo Strozzi), ne abbiano offerto ghiotta occasione. Mai nessuno ha esaltato l'orgoglio omosessuale, e probabilmente in modo preterintenzionale per l'assoluta spontaneità, come Tanzio; nessun calendario «intenzionale» concepito oggi, è andato più avanti, e neppure Caravaggio con i suoi ostentati femminielli. Tanzio identifica la bellezza dei ragazzi come una grazia di Dio incontaminata, innocente, o peccaminosa per necessità. I due ragazzi che curano e carezzano San Sebastiano sono due amici belli come lui, dalle carni bianche, dalla pelle liscia, dai riccioli d'oro. Neanche Sandro Penna avrebbe potuto immaginarli così belli. E Pasolini era troppo immedesimato nell'archetipo caravaggesco. Forse a capirne la natura di angeli biondi, trovando il modello del suo desiderio, poteva essere soltanto Giovanni Testori, che salendo al Sacro Monte per incontrarli, se ne è fatto poeta. E cercando tra la folla dei valligiani, nelle cappelle sul calvario fino al cielo di Gaudenzio, ha identificato nelle grandiose e scenografiche decorazioni, soprattutto di Tanzio, quel «Gran teatro montano».
Nato a casa Giacomolo, frazione di Alagna in Valsesia, in una famiglia di maestri architetti e scultori, Tanzio era quasi coetaneo di Caravaggio, che a venticinque anni andò a cercare a Roma, con escursioni in Abruzzo e a Napoli. Lo vediamo, più vicino al Cavalier Arpino che a Caravaggio, con la Madonna col bambino, S. Francesco d'Assisi e il committente a Colledimezzo . E poi nella Circoncisione di Fara San Martino e la Madonna dell'incendio sedato di Pescocostanzo. Tutte opere commissionate dall'ordine dei minori osservanti, espressione pura della spiritualità francescana. Scomparso Caravaggio e attenuandosi il suo fuoco che era però ancora vivissimo (il più giovane nordico Giovanni Serodine), Tanzio ritorna a casa e inizia a lavorare intensamente, a fianco del fratello Giovanni, agli affreschi delle nuove cappelle del Sacro Monte. La sintesi delle esperienze romane è nitida nella pala di Domodossola con San Carlo che comunica gli appestati del 1619: lessico naturalista, sintassi manierista. Tanzio ha fatto la resistenza a Caravaggio in difesa di un'incontaminata bellezza ideale. Non vuole essere un pittore della realtà. Semmai della verità rivelata. Giovanni Testori suggerisce: «La carne-carne del Caravaggio, il suo sangue-sangue, da una parte; i sudori sacri e nefasti, le ambiguità tra grazia e peccato, i lividi deliri dall'altra». Se Caravaggio è agnostico fino al rischio dell'ateismo, Tanzio è profondamente religioso, organico all'impresa pastorale di San Carlo, fiducioso nella devozione pedagogica del Sacro Monte, carico di fede in Dio, senza mai cedere a dichiarazioni e atteggiamenti devozionali, con artifici retorici. Il pittore della verità si confronta con la passione di Cristo, « verbum caro factum est ».
Eccolo affrontare, nella cappella XXVII, il Cristo condotto per la prima volta al tribunale di Pilato (1616-18), confondendo la sua umanità dipinta con quella plasmata del fratello Giovanni. Ed eccolo ancora, nella cappella XXXIV, davanti Pilato che si lava le mani (1619-20). Dieci anni dopo Tanzio dipinge nella cappella XXVIII Gesù di fronte a Erode . Architettura, scenografia, prospettiva, statue in terracotta, figure dipinte, in un perfetto illusionismo. Teatro. Anche oltre il grandioso Gaudenzio nella cappella del Calvario popolata di varia umanità. In altre cappelle si esprime, in un diverso vento barocco, Pier Francesco Mazzucchelli, il Morazzone. Ma il teatro di Tanzio «non è mai teatrale», è sacra rappresentazione di umana verità.
Oltre il Sacro Monte restano bei dipinti, affreschi e pale in San Gaudenzio a Novara (1627) e poi in chiese e pievi sperdute, tutte per Tanzio memorabili, Lumellogno, Vagna, Fontaneto d'Agogna, Cellio, Gerenzano. Memorabile per umanità, sentimento della famiglia, l'incontro tra Giacobbe e Rachele , ora alla galleria Sabauda, e alcuni intensissimi ritratti, tesi, nervosi, due a Brera e uno ora presso Etro.
Nel 1627 oltre agli affreschi per la Cappella dell'angelo custode, Tanzio lascia nella basilica di San Gaudenzio a Novara la grande tela Sennacherib sconfitto dall'angelo contrapposto al Giudizio universale di Pier Francesco Mazzucchelli, il Morazzone. Poco più tardi dipinge a Milano gli affreschi nel «santuario» della pittura barocca, in Sant'Antonio e Santa Maria della Pace. La gloria raggiunta è attraversata nel 1630 dal flagello terribile della peste (la stessa narrata dal Manzoni). E Tanzio ne dà conto nel Sennacherib di Novara, corpi lividi come in un lazzaretto sotto un cielo nuvoloso, fosco, ammorbato. Il dipinto esprime una potenza michelangiolesca e Testori lo definisce capolavoro supremo, certo uno tra i più alti raggiungimenti del secolo intero. L'impresa di Tanzio, che vive (e muore) presso il convento francescano di Santa Maria delle Grazie a Varallo, si chiude con gli affreschi della collegiata di Borgosesia, in una proiezione mistica, molto lontana da Caravaggio, che si esprime nel dolente Ma rtirio dei beati francescani a Nagasaki . Estremo atto di fede come tutta la sua opera perché l'unica realtà è quella di Dio.

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