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martedì 19 novembre 2019

IL PALAZZO REALE DI MILANO OSPITA UNA IMPONENTE MOSTRA ANTOLOGICA DEDICATA A GIORGIO DE CHIRICO

A quasi cinquant’anni di distanza dalla grande mostra antologica del 1970, Palazzo Reale di Milano celebra il genio di Giorgio de Chirico (Volos, 1888 – Roma, 1978), l’inventore della pittura metafisica, con una straordinaria mostra retrospettiva che raccoglie la sua carriera in un serrato e intenso percorso suddiviso in otto capitoli che vanno dagli esordi agli splendidi dipinti degli ultimi anni di attività.
La mostra, curata da Luca Massimo Barbero, promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, da Palazzo Reale, da Marsilio e da Electa, in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, nasce da un lungo lavoro di ricerca e di programmazione che permette di ammirare capolavori provenienti da grandi musei italiani internazionali e da importanti collezioni private.

METAFISICA CONTINUA














Il pubblico potrà dunque apprezzare la grandezza di un artista che ha costantemente rinnovato la sua pittura portando avanti una ricerca di uno spessore e di una profondità che hanno pochi eguali nella storia dell’arte del XX secolo, se si pensa che, oltretutto, de Chirico è stato capace di dense riflessioni filosofiche e di grandi opere letterarie, come il suo romanzo Ebdòmero del 1929. La mostra nasce anche per evidenziare con eloquenza la grandezza ininterrotta dell’opera di de Chirico in tutte le sue fasi, in quella che Maurizio Calvesi, uno dei massimi studiosi dell’artista, ha definito “Metafisica continua”, sviluppata nelle sue diverse declinazioni, a partire dalla nascita della Metafisica a Firenze nel 1910, dalle Piazze d’Italia e dagli Interni ferraresi, fino ai manichini, ai Gladiatori, alle ricerche sulla materia pittorica, ai suoi paesaggi e alle nature morte “barocche”, al dialogo con i grandi maestri della storia dell’arte e alle ultime opere neometafisiche.
Questo imponente risultato, dovuto principalmente alla qualità del lavoro di Luca Massimo Barbero e dello staff di Palazzo Reale, si inserisce così perfettamente nella linea operativa e teorica della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, che sostiene proprio l’idea della “Metafisica continua”, in una visione rigorosa e innovativa del lavoro dell’artista, finalmente liberata da vecchi e indifendibili stereotipi e analizzata nella sua straordinaria complessità.










    Così lo Spirito del mondo si irradiò dall'arte italiana

    Nel XX secolo il nostro Paese perse il primato geografico nella pittura. Ma non quello ideale



    Per spiegare il senso profondo di questo nuovo volume, dedicato al Novecento, occorre risalire al pensiero del filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel: lo Spirito del mondo si manifesta in ogni epoca in un determinato luogo.
    E dunque, per tornare nel nostro contesto, lo Spirito del mondo appare nel Trecento a Padova, con Giotto. È ancora a Padova nel Quattrocento, con Donatello e Mantegna, anche se il baricentro è prevalentemente a Firenze. Nel Cinquecento è a Roma, e la sua forza perdura anche nel Seicento, con Caravaggio e con il Barocco. Nell'età neoclassica inizia a vacillare il primato dell'Italia, e si annunciano fenomeni molto rilevanti in Francia, i quali poi irrompono, alla fine dell'Ottocento, con gli impressionisti. L'Italia perde lo Spirito del mondo.
    Dal Trecento all'Ottocento, fino a Tiepolo e Canova, l'Italia è stata il luogo privilegiato della manifestazione dello Spirito del mondo, che poi, improvvisamente, si trasferisce stabilmente in Francia, dove continua a riprodursi fino agli inizi del Novecento. Modigliani non sarebbe Modigliani se fosse accaduto a Livorno, come è avvenuto per i macchiaioli, o per un pittore come Oscar Ghiglia, grande quanto Modigliani però, purtroppo, vissuto in una terra da cui lo Spirito del mondo s'era allontanato.
    Modigliani è un italiano che porta lo spirito italiano, la consapevolezza della tradizione italiana a Parigi. Se le maschere africane primitive che popolavano la casa di Gertrude Stein ispirano Picasso, i riferimenti di Modigliani (...) sono altri primitivi, cioè Giotto, Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti. La storiografia italiana li definisce primitivi nel senso che precedono cronologicamente Raffaello, con un riferimento molto preciso alla lunga storia dell'arte italiana che ho tentato di raccontare nei volumi del Tesoro d'Italia.
    Insomma, se Modigliani avesse lavorato a Livorno, e si fosse ispirato al solo primitivismo italiano, non avrebbe avuto la stessa eco, come dimostra la vicenda dei macchiaioli o di Ghiglia; e probabilmente analogo discorso si potrebbe fare per Picasso: se fosse rimasto in Spagna e non avesse conosciuto Parigi, sarebbe stato Picasso? Tra Otto e Novecento tutto accade a Parigi, Modigliani ma anche Boldini (...), e continua ad accadere con il Cubismo e il Surrealismo.
    Improvvisamente, però, si interrompe anche la fortuna di Parigi. Negli anni Cinquanta del dopoguerra lo Spirito del mondo si sposta in America, con Jackson Pollock, i grandi pittori dell'Informale e, nel 1958, con la Pop Art.
    E l'Italia? Piero della Francesca accade nel 1450, ma ritorna ad accadere nella consapevolezza dei pittori francesi come Seurat, che è il primo che ne comprende pienamente la grandezza dopo anni di oblio; e, ancora, Piero riaccade con il Cubismo e con Morandi. Senza Piero della Francesca sarebbe impensabile Balthus. Quindi l'accadere in un luogo dello Spirito del mondo è un accadere per sempre, vuol dire eternarsi. Uno dei momenti fondamentali della pittura italiana del Novecento è (...) Valori plastici, un movimento che intende ritrovare proprio quel senso della misura, dell'ordine e della prospettiva che è nato nel Quattrocento.
    Il Futurismo internazionalizza l'arte italiana del Novecento, muovendo verso la Francia e in Russia. Eppure per il Futurismo vale quanto abbiamo indicato per Modigliani: il Manifesto futurista viene pubblicato su Le Figaro, a Parigi, pur essendo un pensiero nato a Milano. La storia dell'arte del Novecento è un percorso altalenante tra fenomeni che sono ormai delocalizzati rispetto all'Italia, che deflagrano altrove ma restano consapevoli dello spirito italiano, come avviene per i pittori futuristi o per Giorgio de Chirico, un artista greco, diventato italiano, che vive a Parigi. De Chirico inventa la metafisica, come lui stesso la definisce, che è una reinterpretazione della grande tradizione italiana, a partire da Piero della Francesca, dalla statuaria greca e romana e da Ferrara, altra capitale del Rinascimento.
    Quando arriviamo al ventennio fascista è tempo di un rappel à l'ordre che, in Italia, si incarna in Margherita Sarfatti, controversa e straordinaria donna, amante del Duce, ebrea, che il Duce stesso in seguito rinnegò. Margherita Sarfatti inventa Novecento, che è un momento preciso in cui a Milano si trova un gruppo di artisti che rinnovano la grandezza del Quattrocento.
    Il percorso di questo libro rende conto dunque di un intreccio di pulsioni, fatto di moti in avanti e arretramenti, di futuro e passato. Un libro che si avventura nel genio inquieto del Novecento, per far capire come, in un secolo in cui l'Italia non è più il primo paese per l'arte, ci sono però artisti formidabili, che a volte hanno varcato i confini nazionali, ma spesso non hanno conosciuto risonanza mondiale: degli uni e degli altri cerco di rendere conto e di dare testimonianza.



    Il filosofo de Chirico e la maledizione dei falsi

    Riccardo Dottori accomuna l'artista a Kant e Schopenhauer. Ma non tutti cercano la verità...


    Gli studi su De Chirico avanzano e, come non è mai capitato per un pittore, lo esaminano come un filosofo che abbia illustrato i suoi concetti con le figure invece che con le parole. Alla esegesi di de Chirico si applica oggi Riccardo Dottori (Giorgio de Chirico.
    Immagini metafisiche, La nave di Teseo) prendendo il testimone di Jole de Sanna, sovrana interprete del Pictor optimus. Oltre la critica, il filosofo Dottori parte da una riflessione di de Chirico che indica il mistero nascosto nella realtà: «mi accorsi che c'è una folla di cose strane, sconosciute, solitarie, che possono essere tradotte in pittura: vi ho riflettuto a lungo. Allora cominciavo ad avere le prime rivelazioni». Osserva Dottori, davanti a Il canto d'amore nel quale Magritte disse che «l'artista aveva voluto rappresentare il pensiero»: «è qui che de Chirico introduce il concetto di rivelazione, ripreso da Schopenhauer, che lo aveva ricondotto al concetto di genio; Kant considerava il genio il favorito della natura, dalla quale aveva avuto il dono, proprio dalla natura stessa, di creare delle forme senza seguire alcuna regola. In modo simile (...) lo considera anche Schopenhauer, dato che lo vede come colui che sa estraniarsi dal mondo esterno e nella sua riflessione in se riesce a concepire delle idee veramente universali».
    Su questa strada si era mossa la de Sanna. Di lei dice persuasivamente Cristina Casero: «L'aspetto che più colpisce pensando a Jole de Sanna - soprattutto oggi, col distacco che il tempo ci concede, anche a causa della sua veramente prematura scomparsa - è quella pacata autorevolezza che caratterizzava il suo modo di essere, come donna prima ancora che come studiosa e critica d'arte. Per quanto fosse appassionata, il suo comportamento era di fatto schivo, seppur estremamente aperto e diretto, ma soprattutto i suoi modi erano certamente scevri da quella narcisistica volontà di protagonismo che, invece, purtroppo connota la natura di molti dei personaggi attivi nel mondo dell'arte. Ha vissuto tra noi come se vivesse altrove: era l'impressione che ti lasciava. A metà tra invenzioni poetiche come Ariel e Clorinda, è stata, a suo modo una sorta di figura mistica: era, a tratti posseduta da impeti di passioni e di dedizioni». È singolare che di fronte al pittore da lei più amato, oggi troviamo il sapiente e distaccato, ma intensamente applicato, Riccardo Dottori. Per lui la Metafisica ha lo stesso peso del pensiero di Heidegger, in una esplicita reinterpretazione di Eraclito, e ben oltre il formalismo astratto di Kandinsky, per quanto evoca con una potenza simbolica senza precedenti. E singolare che di un pittore così filosofico e complesso vi siano tante opere contraffatte da falsari che banalizzano quello «stato d'animo», unheimliche, di cui parla anche Heidegger già nel suo primo scritto, Il concetto di tempo, del 1920, e poi nella sua opera fondamentale Essere e tempo, e infine nell'altra opera che coincide con la tematica di de Chirico, Che cos'è metafisica? E non soltanto esecutori, ma anche pseudo esegeti o sedicenti critici d'arte che hanno prevalentemente fatto il mestiere di mercanti. Tra i venditori di opere false nell'ultimo periodo della complessa storia della falsificazione dell'arte di Giorgio de Chirico, spicca il nome di Paolo Baldacci, autore di libri e curatore di mostre, il quale ha venduto e fatto vendere, consapevole della loro falsità, numerosi dipinti firmati «Giorgio de Chirico», di altra epoca. La responsabilità penale del Baldacci è stata accertata dalla Magistratura milanese, prima dal Tribunale Ordinario di Milano - Sezione settima penale, nel marzo del 2009 e poi dalla Corte d'Appello di Milano - Sezione quarta penale, con sentenza del luglio 2013 passata in giudicato. La sentenza della Corte d'Appello, pur applicando a Baldacci l'istituto della prescrizione, nel frattempo maturata, ha accertato con ampia e analitica motivazione la piena consapevolezza da parte dell'imputato della falsità delle opere da lui vendute, confermandone la confisca già disposta in primo grado.
    Il Catalogo generale di de Chirico, a cura di Claudio Bruni Sakraischik (Electa, Milano 1971-1987), è composto da otto volumi nei quali sono riprodotte 2638 opere raccolte in tre tomi divisi per epoca: 1909-1930; 1931-1950; 1951-1974. Il sesto volume risale al 1976 e fu l'ultimo pubblicato vivo il Maestro. Il settimo volume, pubblicato nel 1983, beneficiò della consulenza di Wieland Schmied e Giulio Briganti e l'ottavo (1987) della consulenza di Wieland Schmied e Antonio Vastano. Sulla base di quel Catalogo, il Tribunale penale di Milano nel marzo del 2009 aveva condannato Baldacci alla pena di 20 mesi di reclusione. Nel corso delle indagini, la magistratura inquirente aveva disposto il sequestro anche di altre opere riferite a de Chirico dal Baldacci. Queste, nonostante le ricerche, non sono ancora state reperite e sono tuttora in circolazione. È da porre in particolare rilievo il fatto che, tra i dipinti oggetto del provvedimento di sequestro, spiccava un colossale falso metafisico del 1913, del potenziale valore di milioni di euro, dal titolo Die Melancholie der Abreise (La melanconia della partenza). Il falso fu esposto nella mostra di Düsseldorf della quale Baldacci è stato uno dei quattro curatori («Die Andere moderne. De Chirico-Savinio», al Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf, 2001). Gli altri curatori erano Maurizio Fagiolo dell'Arco, Wieland Schmied e Gerd Ross. Quest'ultimo, interrogato dagli inquirenti riguardo tale opera, ha risposto: «Si trattava di un quadro che, prima di quella mostra, non era conosciuto. Nessuno di noi aveva visto l'originale. Solo Baldacci lo aveva visto e proposto per l'esposizione». Aggiungeva poi: «Non ricordo chi sia il proprietario del quadro. Forse veniva da Israele: credo che poi sia stato venduto ad un gallerista di New York e che si trovi attualmente in Svizzera». Ovviamente, non avendo fornito le informazioni in suo possesso, l'opera non poté essere sequestrata ed è tuttora in circolazione.
    Wieland Schmied, l'unico studioso tedesco di Giorgio de Chirico degno di questa qualifica, amico personale del Maestro e curatore della indimenticabile mostra milanese del 1970, alcuni mesi prima della sua morte, avvenuta il 22 aprile 2014, ha confermato per iscritto, in data 31 ottobre 2013, non soltanto che tale dipinto era falso, ma anche che era stato inserito nella mostra a sua insaputa. Vero e falso in de Chirico si sovrappongono, in danno della verità del suo pensiero, interpretato da chi ne conosce e ne esalta soltanto il valore materiale, e ne umilia il pensiero filosofico, approfondito da Dottori. Spirito contro materia.





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