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giovedì 10 febbraio 2011
I Calzagatti
MENÙ MODENESE
I Calzagatti
E’ una ricetta antica ,
antica, molto antica”
Tempo di riposo 6 ore
Tempi: di cottura 20-2.5 minuti per il sugo, 15 minuti per la frittura
Ingredienti per 4 persone
Per il sugo:
60 gr. di pancetta tritata
1 spicchio di aglio
qualche rametto di rosmarino
olio di oliva
300 gr. di fagioli borlotti secchi
100 gr. di conserva di pomodoro
Per la polenta:
500 gr. di farina di granoturco
3 litri di acqua
un po’ di latte
sale
strutto o olio per friggere –
Preparazione
Far soffriggere la pancetta, che va messa dentro al tegame insieme all’aglio pestato fine.
Si aggiunge il rosmarino, che conviene legare con uno spago perché non perda gli aghi.
Deve soffriggere per qualche minuto a fuoco vivace, aggiungendo dopo qualche minuto un cucchiaio di olio.
Unire i fagioli borlotti, precedentemente bolliti in acqua non salata, e un pò di conserva di pomodoro per dare colore al sugo.
Salare e aggiungere 2 mestoli di acqua Far cuocere per circa 20 minuti, facendo restringere il sugo.
A parte, intanto, si può preparare la polenta, facendo scaldare l’acqua in una casseruola alla quale bisogna aggiungere un pò di latte, che permetterà ai calzagatti di rimanere più morbidi
Quando bolle, si aggiunge il sale e la farina di granturco, a poco a poco, senza mai smettere di mescolare con un cucchiaio di legno
Quando la polenta sì è addensata, dopo circa 40 minuti, si può unire il sugo di fagioli, mescolando bene e lasciando cuocere a fuoco basso ancora per 15 minuti. Dopo si toglie la casseruola dal fuoco e si versa l’impasto in una ciotola, così che raffreddando assuma una forma regolare. Deve riposare per sei ore circa a temperatura ambiente. Non va messo in frigorifero, altrimenti gli elementi tendono a separarsi.
Trascorso il tempo necessario per far consolidare l’impasto, si può procedere alla cottura. In una padella si mette lo strutto, che deve scaldarsi bene. Si potrebbe uttilizzare
anche l’olio, ma la ricetta originale impiega lo strutto che è più saporito.
Intanto si procede a tagliare a fette la polenta condita, che andrà tuffata nell’olio o strutto bollente lasciata cuocere per qualche minuto, finché non ha assunto un colore dorato. Prima dì servire in tavola, far asciugare i calzagatti sulla caria gialla per eliminare il grasso in eccesso.
Il bello di questo piatto è che si può mangiare sia dolce che salato: con la marmellata dì prugne o con lo zucchero; con la cipolla o con l’insalata di pomodori.
I calzagatti si possono anche mangiare senza estere fritti, Comunque vanno lasciati riposare per qualche ora perché si raffreddino e si compattino.
I calzagatti sono un piatto che facevano i contadini. Praticamente si facevano alla sera e al mattino si friggevano, oppure venivano arrostiti sulle braci. Questo piatto l’ho imparato proprio in casa, dalla mamma e dalla nonna; Ma tutti lo facevano spesso, due volte alla settimana, alternandolo con le crescentine nelle tigelle o con la polenta.
I calzagatti si facevano fritti, ma più ancora sulle braci. Si condivano con la salsiccia in umido, con il formaggio o il prosciutto.
I calzagatti .possono anche essere chiamati paparoci, malfatti, malfet.
mercoledì 9 febbraio 2011
Tortelloni di ricotta secondo una ricetta Modenese
Tempo di riposo: 30 minuti un’ora
Tempi di cottura: il tempo di lessare le bietole, più 3 minuti per i tortelloni
Ingredienti per 4 persone.
Per il ripieno:
300 gr. di ricotta
250 gr. di bietole lessate
100 gr. di parmigiano grattugiato
10-15 gr. di prezzemolo fresco
un po’ dì sale
noce moscata
Per la sfoglia:’
600 gr. di farina
6 uova
Preparazione
Si inizia facendo lessare le bietole in acqua salata. Mentre cuociono, si può preparare l’impasto della sfoglia, lavorando 6 etti di farina e 6 uova. Il procedimento è quello classico per la preparazione della sfoglia: si mette la farina a fontana su un tagliere di legno, al centro si rompono le uova e si inizia a unire la farina, cominciando dall’interno. Non dimenticare di aggiungere un pizzico di sale, quindi cominciare ad impastare, lavorare con le mani finché non si ottiene una pasta liscia ed elastica
Quindi ricoprire il panetto della sfoglia con un canovaccio e lasciar riposare almeno mezz’ora.
Intanto si può preparare il ripieno dei tortelloni. Si mette in una teglia la ricotta:
è essenziale che sia di ottima qualità, non acquosa. Si aggiungono le bietole cotte, ben strizzate dall’acqua e pestate fini fini, il prezzemolo rigorosamente tagliato a coltello, il sale e la noce moscata. Con l’aiuto di un cucchiaio di legno si amalgama bene il tutto e si aggiunge abbondante formaggio parmigiano reggiano.
Si mette da parte il ripieno e si torna alla sfoglia, che andrà tirata con il mattarello. Non deve sere troppo sottile, perché altrimenti i tortelloni potrebbero rompersi durante la cottura. Va stesa in uno strato omogeneo, tagliata a strisce e quindi a quadretti di 5 centimetri di diametro. I quadretti vanno coperti con un telo perché la pasta non si asciughi troppo. Quindi si inizia a formare i tortelloni, mettendo una noce di ripieno al centro del quadretto di pasta, unendo i due estremi a formare un triangolo e girando all’ingiù le due estremità, che dovranno essere sovrapposte e fissate con una leggera pressione delle dita perché si chiudano.
La cottura dei tortelloni” di ricotta è molto rapida: sì buttano nell’acqua bollente e salata e si raccolgono con un mestolo forato, per evitare che si rompano, dopo 2-3 minuti.
Una volta si usava condire questa pasta ripiena con il ragù di carne oppure con lardo e pomodoro. Oppure si possono condire con burro e salvia fresca.
lunedì 7 febbraio 2011
Primi '900 - Oggetti di vetro.
Modernismo o Stile floreale nel vetro in Italia nei primi anni del 900. Una delle caratteristiche più importanti dello stile è l'ispirazione alla natura, di cui studia gli elementi strutturali, traducendoli in una linea dinamica e ondulata. Gli oggetti che presentiamo ne fanno intravedere la linea anche nella composizione dei più semplici oggetti c asalinghi come vasi e caraffe.
domenica 6 febbraio 2011
Lattimo
Il Lattimo è una pasta vitrea dal colore del latte, detta talvolta a Murano anche lattesino. Era composta in origine con ceneri di ossa calcinate, e comunque a base di piombo e stagno.
Perfettamente opaca, servì per imitare la porcellana, sin dal secoloXVI, impiegata con grande fortuna nel XIII, sia in Italia (Venezia), sia in Inghilterra (opaque white glassnb), in Germania, Spagna e Francia (blanc-de-lait).
Lo stesso lattimo trovò larghissimo impiego in un’altra tecnica, genialmente sviluppata dai maestri veneziani: quella del reticello o filigrana, nasce dall’uso delle filettature a canna sottile, impiegate su andamento parallelo oppure a spirale, o ad intreccio, così da ottenere una rete sottile che sembra avvolgere l’oggetto intero. Con questa tecnica a vennero fatti vasi per fiorì, coppette, tazze, piatti da pompa.
La filigrana talvolta, è ravvivata dall’inserirsi di fili colorati (in azzurro o più spesso in rosso) con canne intrecciate a spirale.
venerdì 4 febbraio 2011
Lavorazione del vetro.
LAVORAZIONE DEL VETRO
Gli strumenti a disposizione sono, ancora oggi, all’incirca a quelli che si usavano per il passato. Anzitutto la canna da soffio, il mezzo cioè che all’atto della sua invenzione (nel I secolo, circa, dell’Era Cristiana) ebbe a rivoluzionare la tecnica vetraria, aprendo possibilità assolutamente nuove. Prima di tale epoca la lavorazione del vetro avveniva modellandolo a caldo, col sistema della colatura. Ma con tale mezzo se era possibile ottenere forme varie con l’uso di appositi stampi, più difficile era la costruzione di oggetti vuoti all’interno, se non di misura assai piccola, come ad esempio i balsamari egizi, modellati su forme friabili che venivano poi distrutte. L’invenzione del metodo a soffio rese invece possibile la fabbricazione di vetri cavi anche di notevole capacità e misura, e nelle forme più diverse.
La canna da soffio è un tubo in ferro, di diametro assai ristretto, e della lunghezza di un metro ed anche più (sino a 1,45); di poco svasato in una delle estremità, è più ristretto dalla parte dove l’artigiano pone la bocca. Prelevata, con la canna stessa, una Piccola parte di massa fusa, attraverso l’apertura del forno (questa pasta, che si presenta molle, -incandescente e appiccicosa viene denominata bolo), il maestro la arrotola poggiandola sopra una piastra di ghisa che sta presso il forno medesimo; tale piastra, che un tempo era di bronzo, si chiama ancor oggi bronzino o bronzin. Successivamente si soffia entro la canna ampliando in tal modo la massa che tende ad assumere forma sferica. La forma è modificata nella lavorazione successiva e viene allungata o modellata secondo gli intendimenti del maestro, che a tale scopo si vale di qualche strumento, badando a mantenere alla materia il necessario grado di malleabilità col sottoporla di tanto in tanto al calore del forno. Altro strumento essenziale è la borselia ,specie di molla di ferro con cui si può modellare’ e praticare fori nella massa soffiata a globo, ad esempio quando se ne voglia ricavare un vaso o comunque un vetro cavo. Vi. sono numerose varianti di borselle, secondo le operazioni cui sono destinate. Inoltre si usano delle cesoie per tagliare il vetro e togliere le eccedenze, un compasso per controllare l’esattezza delle misure, e qualche altro arnese accessorio. Il vetraio compie il suo lavoro più impegnativo stando seduto su di uno speciale scranno (a Murano è chiamato
Durante il procèsso della lavorazione, il maestro viene assistito da altri lavoranti o garzoni. Ad opera compiuta il pezzo viene passato nella fornace di ricottura (la tempera dei Muranesi), dove avviene il raffreddamento, con la dovuta lentezza poiché il vetro ancora incandescente non può essere esposto a brusche variazioni di temperatura senza che ne sia compromessa la stabilità e la durata. All’artigiano è spesso di guida un disegno preventivamente fornitogli, o da lui steso concepito, oppure la presenza di un oggetto del quale debba ripetere la forma;. talvolta è la sua fantasia che, col solo aiuto dell’esperienza tecnica, gli guida la mano. La materia informe tende possibile questo processo creativo; così puro e mirabile che per certi aspetti sì. accosta solo all’attività dell’artista nel campo figurativo.
Talora, per ragioni economiche, la forma dell’oggetto viene ottenuta con un sistema più semplice e soprattutto più rapido.
giovedì 3 febbraio 2011
FABBRICAZIONE DELLA MATERIA VITREA
FABBRICAZIONE DELLA MATERIA VITREA
Il vetro per se stesso è materia amorfa, sulla cui natura e definizione esatta gli studiosi non sono ancora d’accordo. È comunque una materia tecnica industriale derivante dal raffreddamento di una massa fusa, costituita dalla soluzione di più materie . Ma, a differenza di altre di derivazione chimica, non assume naturalmente . struttura alcuna se non mediante la mano dell’uomo. Le componenti alle quali abbiamo accennato servono per ottenere, portate ‘ad alta temperatura (circa 13000.15000), una miscela incandescente. La fusione produce nell’interno della materia quelle modificazioni chimiche che ‘portano alla vetrificazione. Silice, soda e calce formano una miscela pressochè liquida e omogenea in fase di fusione essa viene depurata in superficie dalle scorie galleggianti, che i vetrai chiamano schiuma di vetro . La massa incandescente è contenuta entro appositi crogioli detti a Murano padelle, che sono complementari del forno vero e proprio. Il lavoro preparatorio si fa per successive fasi. Da una prima fusione, che un tempo avveniva entro forni adatti, si ha, la cosiddetta fritta; la seconda. fusione a temperatura più elevata, detta anche di affinaggio, viene fatta in un altro crogiolo; dopo di che si ha la terza fase, non di fusione vera e propria ma di riposo, in cui la miscela tenuta alla temperatura adatta è finalmente pronta per la lavorazione.
La tradizionale struttura dei forni a crogioli comporta una camera di fusione, dove i diversi crogioli o bacini costruiti in terra refrattaria accolgono la miscela. fusa. Alcune bocche comunicano con l’esterno, e da esse gli operai attingono con i loro strumenti. Tale struttura si usa ancora oggi a Murano ed ha subìto ben poche modifiche rispetto a quella antica.
Zuccheriera con coperchio e due piccole anse, simili a placche, applicate ai lati. Poggia su una base allargata e bassissima , ha un corpo quasi sferico, completato dal coperchio a strette baccellature che culmina in un piccolo pomo. Diamo questo esempio, che è tipico di una produzione diffusissima nel Settecento veneziano. Come per altri oggetti, traspare abbastanza chiara l’ispirazione ad analoghi pezzi che venivano prodotti in argento o in altri metalli
mercoledì 2 febbraio 2011
Opalino
Tipo di vetro semi-opaco di intonazione biancastra o lievemente azzurrina, o tendente ad altre tonalità, sempre assai chiare e delicate. Si ottiene aggiungendo ossido di stagno ed altre sostanze alla normaie miscela. Gli « opalini» furono specialità francese dalla fine del secolo XVIII alla prima metà del XIX. In uso anche a Murano nel secolo XIX.Molte parti di vetro opalino sono decorate con la doratura. Alcuni con i fiori o gli uccelli dipinti a mano.
L'arte nel Vetro.
Le sue creazioni, raffiguranti soprattutto elementi naturali, animali e nudi femminili, si distinsero dapprima nell'ambito dell'Art Nouveau e in seguito in quello dell'Art Déco. Orafo, vetraio e disegnatore, lavorò per Cartier, ideò gioielli per Sarah Bernhardt e riscosse grande successo in occasione dell'esposizione universale di Parigi del 1900.
Affidandosi più all'originalità del disegno e alla qualità della lavorazione che al valore del materiale utilizzato, Lalique ricorse ad esempio all'avorio, al corno e allo smalto per realizzare molti pezzi unici. Dai primi anni del Novecento applicò la propria creatività soprattutto al vetro
COMPOSIZIONE DEL VETRO
Il vetro è certamente una delle materie più straordinarie affascinanti che l’uomo abbia creato tra le più antiche nella storia della sua civiltà. Difficilmente corruttibile agli agenti chimici ed all’azione del tempo, è modificabile soltanto con la piena fusione a temperatura molto elevata. Per questo ha avuto e continua ad avere applicazioni diversissime che interessano su larga scala la produzione artistica. La sua composizione è delle più semplici essendo sufficiente alla sua nascita l’unione di poche materie prime: la silice, che sì ricava dalla sabbia, la calce o carbonato dì calcio e un alcale adatto alla fusione, cioè la soda. Infatti i primi vetri soffiati prodotti in Siria con l’affacciarsi dell’era cristiana, sì giovarono delle sabbie, ricche di contenuto siliceo, che poteva fornire la foce del fiume Belus, secondo quanto ci narra Plinio il Vecchio; esse si fondevano con l’aiuto delle ceneri di piante costiere provenienti dal delta del Nilo dalle quali si ricavava il cosiddetto natron o natro (cioè carbonato idrato di sodio), o soda.
In una composizione così essenzialmente semplice sì inserirono, con l’evolversi della tecnica, altre materie sussidiarie per ottenere la decolorazione del vetro o per conferirgli tinte particolari. Inoltre la sostituzione di una delle componenti portava a modifiche sostanziali creando varianti quale ad esempio il cristallo.
Possiamo quindi considerare diversi tipi di vetri secondo la loro composizione. Il più comune, usato negli oggetti di produzione corrente, è il vetro sodico. Basato sugli elementi essenziali (silice e carbonato di calcio fusi con la soda),la sua formula chimica può così trascriversi: Na20, CaO, 55i02.
Pur essendo trasparente, il vetro tende ad una colorazione verdastra specie se portato a grosso spessore. Tale colorazione è dovuta alla presenza di minerali, specie all’ossido di ferro contenuti nelle sabbie, ed è facilmente riscontrabile nella produzione meno raffinata della vetraria romana e medioevale, benché già ai tempi di Plinio si conoscesse l’uso del manganese (il «magnes lapis ») come materia purificante di cui parleremo più innanzi.
Nei paesi lontani dal mare, dove il fondente a base sodica era di difficile importazione, si usò in sua vece un fondente potassico estraendo il carbonato dalle ceneri di vegetali, in particolare dai faggi e dalle felci abbondantemente presenti nei boschi delle terre montuose dell’Europa centrale. Per questo il vetro potassico così formato fu chiamato anche vetro di foresta (verre de fougère per i paesi di lingua franca, Waldglas per i Germani), e divenne tipico delle fornaci nordiche dopo la caduta dell’Impero Romano. Ne è caratteristica la materia di cui sono composti i vetri medioevali della zona renana, e in genere dell’Europa nord-occidentale, i cosiddetti « teutonici» e quelli « gotici» prodotti tra il VII ed il XV secolo.
Si riconoscono dal colore verde scuro e anche, nei tipi più chiari, dall’intonazione giallo-bruna o verdastra. I Veneziani, avendo a portata di mano la soda che si ricavava facilmente anche dalle piante palustri, o si importava per via di mare sia dalla Siria (per questo era detta rocchetta di Levante o di Soria), sia dalla Spagna (la barilla o soda di Spagna), prediligevano e continuavano ad usare il vetro sodico o marittimo, ben distinto da quello potassico o di foresta.
L’introduzione dei silicati di calcio e di potassio divenne poi prerogativa di un altro tipo di vetro, che più propriamente si chiama cristallo.
Ricco di straordinarie proprietà di durezza trasparenza e brillantezza, che non si possono ottenere dalla composizione sodica, ispirò e rese possibili a Tedeschi e Boemi quelle lavorazioni particolari con cui invasero i mercati europei nel XVIII secolo.
La sostituzione della calce con l’ossido di piombo portò alla creazione di un altro tipo di cristallo assolutamente incolore e limpido, a forte potere rifrangente. Esso si identifica nel cristallo d’Inghilterra, dove venne fabbricato la prima volta nella seconda metà del Seicento; venne chiamato « glass of lead» (di piombo) oppure flint glass poiché la silice era in origine ricavata dai ciottoli di fiume.
Il termine rimase anche quando si sostituì la sabbia ai ciottoli, ed è tuttora in uso mentre si impiega l’ossido salino di piombo, cioè il minio (Pb3 04). Con i perfezionamenti tecnici apportati dal Ravenscroft, il flint glass o vetro piombico diede risultati suggestivi, dato che si prestava alla decorazione ad intaglio o incisa; perciò ebbe largo impiego specialmente nella cristalleria da tavola (bicchieri, caraffe, bottiglie) pur non raggiungendo la perfezione di trasparenza e solidità del cristallo boemo. Oggi,sia il cristallo a base potassica sia il mezzo cristallo di produzione più economica, sono largamente impiegati nel campo commerciale per gli articoli casalinghi, le lastre da vetrine, e in genere nella moderna edilizia.
La composizione più elementare, nata col vetro soffiato durante la civiltà romana,subì attraverso i tempi, oltre a quelle sopra accennate, altre varianti allo scopo di ricavarne effetti diversi. Anzitutto va ricordato l’impiego del biossido di manganese (o pirolusite) già noto anticamente e adottato anche nella vecchia Murano come decolorante, tanto che venne popolarmente chiamato « sapone dei vetrai ». La sua formula (Mn02) offre la proprietà di ossidare i sali ferrosi, formando il silicato di manganese e quindi eliminando per quanto possibile l’effetto dell’ossido di ferro contenuto nella silice (SiO2).
Invece per ottenere il vetro colorato si potevano aggiungere materie diversissime: in genere ossidi o sali metallici, come l’ossido di rame che dà la tinta detta «acquamarina)), quello di cobalto per l’azzurro, il bismuto per il rosso, il manganese per il violetto; altre particolari terre dette cc rare davano modo di ottenere le più svariate sfumature, dal bruno fumoso (il classico fumée) al tenue violetto, al rosa latteo con effetti opalescenti, brillanti, oppure opachi:
questi ultimi, che un tempo erano ottenuti con l’impiego di ceneri d’ossa, si fecero in seguito con l’ossido di stagno e con l’acido titanico. Naturalmente, il progresso delle scienze e lo sviluppo della tecnica moderna nel campo chimico hanno offerto e vanno aggiungendo possibilità sempre nuove. Così, ad esempio, a Murano si è sostituito il bismuto col cadmio e il selenio, ed anche l’acido cloroaurico (HAuC14) per raggiungere un rosso più brillante tendente al viola; oppure l’ossido dì ferro e di manganese per le sfumature fumose, oppure come opacizzanti il fluoruro di calcio (Ca F2), la criolite (A1F3 3NaF), il fluo-rosìlicato sodico (Na2Si F6), l’anidride arseniosa e l’antimonio. Il complicarsi e moltiplicarsi dei procedimenti atti a modificare la materia vetrosa non sono che una riprova delle meravigliose infinite risorse che essa può offrire.
- teiera di vetro ichendorf Milano
- obiettivo di ichedorf è la ricerca di forme belle e leggere-
martedì 1 febbraio 2011
Mese di Febbraio e informativa sul futuri post.
Esiste un grande eppur quotidiano mistero.
Tutti gli uomini ne partecipano,
ma pochissimi si fermano a rifletterci.
Quasi tutti si limitano a prenderlo come viene
e non se ne meravigliano affatto.
Questo mistero è il tempo.
Esistono calendari ed orologi per misurarlo,
misure di ben poco significato,
perché tutti sappiamo che, talvolta,
un'unica ora ci può sembrare una eternità,
e un'altra invece passa in un attimo...
dipende da quel che viviamo in quest'ora.
Perché il tempo è vita.
E la vita dimora nel cuore.
Michael Ende, Momo
Il mese di febbraio sarà riservato ad una serie di post che tratteranno con testo e immagini il vetro nelle sue diverse applicazioni che interessano su larga scala la produzione artistica.
Sicuri di fare cosa a Voi gradita vi invitiamo nei prossimi giorni a seguirci in questo nostro nuovo lavoro .