Tra
di loro, Luciano Richetti è considerato un pittore di statura nazionale
posto da alcuni critici all’altezza di un Saetti, di un Carpi, di un Funi,
rimasto in qualche modo bloccato da una pigrizia provinciale e dalla avversione
ad affrontare rischi e avventure fuori da Piacenza vince però il premio Cremona con l’opera
sotto esposta
|
L'Ascolto
|
RICCHETTI, Luciano
di Alessandro Malinverni - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)
Condividi
RICCHETTI, Luciano. – Nacque il 27 aprile 1897 a Piacenza, in via Garibaldi, da Cesare, commerciante con negozio di abbigliamento, ed Elvira Balduzzi. Nel 1908 iniziò a frequentare la scuola d’arte dell’Istituto Gazzola, mostrando tuttavia insofferenza verso gli insegnamenti del maestro di figura Francesco Ghittoni, ancorati alla tradizione accademica. Già dodicenne si distinse esponendo due disegni in un negozio di Piacenza, lodati dal quotidiano locale, Libertà, che a distanza di tre anni, nel 1912, lo definì «una bella speranza» per l’arte locale (1° gennaio 1912). La sua attività dal 1913, anno in cui smise di frequentare il Gazzola, al 1917 rimane oscura. Dal 15 novembre 1917 al 4 novembre 1918 partecipò alla guerra prestando servizio nel 24° reggimento fanteria, quindi nel 13° e 21°, di stanza a Piacenza.
Ebbe un fugace avvicinamento al futurismo, esponendo nel 1919 sei caricature presso il ridotto del teatro Municipale di Piacenza alla mostra dei futuristi. L’abilità disegnativa lo indusse a lavorare, negli anni Venti e Trenta, come illustratore per le riviste La Lettura, Romanzo mensile, Fantasie d’Italia, Domenica del Corriere, Corriere della sera, Corriere dei piccoli, Il falco, Piacenza. Fornì inoltre disegni per le Poesie di Valente Faustini, pubblicate a Piacenza nel 1926. Nel 1920 presentò ottanta opere alla mostra organizzata dall’associazione Amici dell’arte, non riscuotendo tuttavia consensi di critica. Riscontri più positivi ebbe la partecipazione alla seconda esposizione allestita l’anno successivo dal sodalizio piacentino. Tra i soggetti da lui maggiormente indagati era la donna, spesso raffigurata senza veli, in pose ambigue e in abiti esotici, in aperta ribellione nei confronti del maestro Ghittoni. Trasferitosi nell’estate del 1922 nel castello di Montechiaro, per dipingervi la sala degli Stemmi, lavorò alacremente anche alle opere da presentare alla III mostra degli Amici dell’arte, che si rivelò un’ottima vetrina grazie all’eco della visita di Ugo Ojetti, il 17 settembre. Ricchetti vi espose paesaggi, dipinti di animali di gusto bruzziano, scene di genere, nudi e ritratti, apprezzati tanto dal mercato quanto dalla critica, grazie a uno stile più coerente e saldo, capace di spaziare attraverso temi e soluzioni formali sempre differenti, ma restando fedele al dato reale.
Nel 1923, grazie alla borsa di studio Remo Biaggi, istituita a favore di artisti piacentini, poté frequentare le lezioni di Ambrogio Alciati all’Accademia di Brera, dove si aggiudicò il premio Bozzi Caimi con una Testa di giovane donna. L’esperienza milanese affinò ulteriormente il suo stile figurativo: uso del colore piacevole e carico, solidità delle figure, forti contrasti luministici, tocco veloce e disinvolto. Alciati, in una lettera nell’ottobre del 1926, lo includeva tra i propri migliori allievi.
Nel 1928 ricevette un’importante commissione: tre dipinti da collocare sullo scalone del palazzo dei Consorzi agrari a Piacenza (oggi detto palazzo ex Enel), nei quali fuse sapientemente l’afflato barocco con la lezione di Ettore Tito e la grazia liberty. Due anni dopo, nel 1930, partecipò invano al concorso per la cattedra di figura all’Istituto Gazzola, vinta da Umberto Concerti; e ottenne al XIV concorso del premio Artistico perpetuo di Parma una menzione d’onore per il dipinto Gente tranquilla. L’anno successivo, Paolo Baratta, presidente dell’Accademia di belle arti di Parma, gli rilasciò un attestato che sottolineava la sua «spiccata attitudine all’insegnamento» e lo raccomandava «non solo per le qualità intrinseche, ma anche per quella concezione nuova ch’egli dimostra di possedere davanti al vero» (Arisi, 1997, p. 13). Nel 1932 Ricchetti partecipò alla fiera-esposizione al Littoriale di Bologna; vinse ex aequo il premio del Rotary Club Italia con il Ritratto del consigliere nazionale Giuseppe Steiner alla Biennale di Venezia; e il Comune di Forlì gli acquistò il dipinto Anime serene per la Pinacoteca civica alla Mostra regionale di Forlì, organizzata dal sindacato fascista belle arti Romagna Emilia.
Allineato al regime, nel 1933 partecipò al concorso per la decorazione del salone di ricevimento della prefettura di Bologna: arrivato secondo, si vide comunque acquistare i bozzetti e nominare «fiduciario provinciale» del Sindacato belle arti di Bologna. Probabilmente in questo periodo realizzò la decorazione per la casa littoria di Piacenza, scialbata alla caduta del fascismo, ma nota attraverso alcune fotografie dello studio Manzotti. L’indefesso lavoro lo spinse a partecipare a concorsi e collettive, ottenendo spesso riconoscimenti, tra i quali si ricordano: una menzione onorevole per il dipinto Gitana, presentato al premio Artistico perpetuo di Parma del 1934; il primo premio vinto lo stesso anno alla I Mostra interprovinciale sindacale emiliana con Modelle in riposo, acquistato dal Comune di Piacenza per la Galleria Ricci Oddi, tra gli esiti più significativi della sua produzione del periodo (distante dalle avanguardie e dall’esperienza metafisica, e vicino a Novecento); il primo premio, ex aequo con Ottorino Romagnosi, alla mostra sul paesaggio promossa l’anno successivo dall’Istituto Gazzola. A questi seguirono prestigiosi commissioni in città: nel 1935 il collegio Alberoni gli richiese la decorazione della sala del Consiglio nel palazzo cittadino di via X Giugno 3, per la quale si ispirò in chiave neobarocca agli affreschi settecenteschi di Luigi Mussi nello stesso palazzo; nel 1938 firmò i dipinti a tempera nel liceo classico Melchiorre Gioia, raffiguranti Piacenza fascista, romana, medievale e primogenita, in parte scialbati alla caduta del fascismo e risarciti nel 1955 con l’incontro di Ulisse con Nausicaa. La consacrazione nazionale avvenne nel 1939, quando trionfò al premio Cremona con il dipinto In ascolto del discorso del Duce, che gli ottenne 40.000 lire e fama istantanea, anche grazie a un articolo elogiativo di Ugo Ojetti sul Corriere della sera del 19 luglio. Per le sue notevoli dimensioni, l’opera venne realizzata presso la sede già degli Amici dell’arte, che ospitava l’Istituto fascista di cultura. Destinata al Museo civico di Cremona, fu smembrata nel 1945: ne sopravvivono il frammento centrale Madre e figlio (donato alla Ricci Oddi da Olivio Teragni nel 1978), Testa del balilla (Piacenza, Banca di Piacenza), Natura morta di frutti e verdure (collezione privata), oltre a un bozzetto (Collezioni Cariparma), e studi e disegni preparatori in collezioni private. Sull’onda di questo successo, nello stesso anno Ricchetti presentò un dipinto alla Biennale di Venezia; venne nominato rappresentante del sindacato nazionale belle arti nella commissione giudicatrice del concorso per affreschi bandito dal comitato dell’Ottava Settimana Mantovana; progettò una lunetta a ricordo del 23 marzo nella galleria XXIII Marzo di Cremona, realizzata nell’estate del 1940; firmò il bozzetto per un arazzo destinato alle nuove sale del Senato, del quale venne approntato soltanto il cartone. Nel 1940 partecipò nuovamente al premio Cremona, con un’opera contrassegnata dal motto «Più profondo è il solco più alto è il destino», che non vinse, ma fu scelta per l’Esposizione di arte italiana di Hannover. Nel 1941, tra le tante occasioni lavorative, si segnalano: la partecipazione alla III Mostra del sindacato nazionale fascista belle arti di Milano e la vittoria ex aequo con Gian Giacomo Dal Forno e Cesare Maggi alla terza edizione del premio Cremona, con il dipinto La consegna, acquistato dalla G.I.L. di Milano. Alla Biennale di Venezia del 1942, nella sezione delle opere ispirate alla guerra, presentò una vasta tela rappresentante il duca d’Aosta. Realizzato nell’ultimo piano del liceo Gioia di Piacenza, prima che il principe morisse in Kenya prigioniero degli inglesi il 3 marzo 1942, il dipinto gli valse un premio di 10.000 lire e fu riprodotto in cartoline quale immagine celebrativa di un eroe italiano. Durante la guerra, Ricchetti sfollò a Bettola con la famiglia (si era sposato nel 1930), tornando spesso allo studio a Piacenza in via Sopramuro. Nel 1942 partecipò alla mostra organizzata dalla federazione fascista presso il palazzo Gotico di Piacenza; nel 1943 inviò dipinti alla Quadriennale di Roma; nel 1945 presentò venticinque opere nelle sale della Ricci Oddi – disallestite per timore dei bombardamenti – insieme con altri colleghi piacentini.
La caduta del regime non compromise la sua produttività. Prese infatti parte a numerosi appuntamenti di rilievo nazionale nel dopoguerra, esponendovi sempre più spesso opere a carattere sacro: la Biennale di Venezia (1946), la I Mostra nazionale di pittura di Bellagio (1946), la I Mostra nazionale di pittura premio Modena (1947), la Mostra nazionale del disegno e dell’incisione moderna di Reggio Emilia (1947), la Mostra nazionale d’Appello presso la Galleria del Sagrato a Milano (1948), la Promotrice di Torino (1948), la Mostra d’arte sacra dell’Angelicum di Milano (1948), la Prima Biennale d’arte sacra a Novara (1948). Non mancarono le personali e le collettive a Piacenza, Verona, Bologna, Milano. Nel 1952, alla seconda personale allestita presso la galleria Gussoni di Milano, presentò numerosi dipinti di controllata solidità strutturale, armonia tonale più intima e maggior ricerca dell’essenziale. Non mancarono nuovi riconoscimenti: vinta nel 1954, ex aequo con Giacomo Bertucci, l’estemporanea organizzata in piazza Cavalli a Piacenza, fu insignito l’anno successivo della medaglia d’oro di piacentino benemerito per iniziativa della Famiglia Piasinteina, storica associazione locale.
A partire dagli anni Cinquanta, alla produzione da cavalletto affiancò sempre più quella murale: nel 1952 illustrò su una parete della sala del Consiglio della Banca di Piacenza (in seguito a lui intitolata) una Sintesi storica della città di Piacenza. In questa fase convogliò le sue energie nella pittura sacra, soprattutto murale, in un ritmo incalzante e con punte di notevole qualità. Allontanatosi dal neobarocco praticato negli anni Venti e Trenta (chiese di S. Maria della Pace, di S. Lazzaro Alberoni e S. Teresa a Piacenza), si avvicinò ai pittori italiani del Quattrocento, mettendo a punto uno stile sobrio e sintetico, in grado di veicolare un’accentuata emotività, attraverso una rappresentazione didascalica del Vangelo e delle vite dei santi. Se si esclude la Via Crucis, dipinta nel 1946 per S. Giovanni in Canale a Piacenza e rifiutata perché ritenuta troppo «moderna» (finì a S. Luigi a Tor de’ Cenci a Roma), le sue realizzazioni godettero di buona fama. In una ventina di anni, dal 1954 al 1972, intervenne, con raffigurazioni più o meno estese, in quasi trenta edifici religiosi tra città e provincia.
Durante la sua lunga carriera, alla pittura murale – prevalentemente di carattere sacro – e a quella da cavalletto – nei generi della natura morta, del paesaggio e del ritratto – affiancò la plastica. Oltre alle opere per il cimitero cittadino, si ricordano, tra gli esiti più significativi a Piacenza: il ritratto postumo di Giuseppe Ricci Oddi per l’omonima galleria (1937); la testa in bronzo del maestro Amilcare Zanella per il conservatorio Nicolini (1949); il gruppo a grandezza naturale con monsignor Francesco Torta che stringe a sé un fanciullo sordomuto e una bambina cieca per l’Opera pia della Madonna della Bomba (1951); la Madonna del Popolo per la base del monumento all’Immacolata in piazza Duomo (1954); il busto in bronzo di Egidio Carella per i giardini pubblici di fronte alla stazione (1961); il monumento ai caduti per Bettola, unica sua realizzazione dedicata a questo tema (1965).
Ricchetti si dedicò estemporaneamente anche al restauro: nel 1938 intervenne sugli affreschi quattrocenteschi della cappella del castello di Gossolengo; nell’estate del 1952 gli furono affidati alcuni dipinti di Giovanni Evangelista Draghi del Museo civico di Piacenza. Duratura fu la sua attività didattica: tra il 1934 e il 1935 insegnò arte decorativa murale e plastica presso la regia scuola tecnica industriale S. Coppellotti di Piacenza; dal 1943 al 1947 impartì lezioni di disegno architettonico e ornamentale all’istituto privato Vittorio Alfieri; nel 1949 affiancò Paolo Maserati alla cattedra di plastica presso l’Istituto Gazzola, e in seguito tenne lezioni di figura ai corsi serali.
Nel 1967, in occasione del suo settantesimo compleanno, l’associazione Amici dell’arte allestì un’antologica a cura di Ferdinando Arisi, suo maggiore esperto. Per dieci anni Ricchetti continuò a lavorare ed esporre: la sua tavolozza si schiarì, i contrasti luministici si attenuarono, il rilievo volumetrico si ridusse. L’ultima personale fu a Bettola nel settembre del 1973. Morì a Piacenza il 30 novembre 1977 nella sua abitazione in via Gattorno. A cento anni dalla nascita, nel 1997, si tenne a palazzo Gotico un’importante retrospettiva – anch’essa affidata ad Arisi – che ne ripercorse l’intensa e variegata attività.
Fonti e Bibl.: La mostra artistica, in Libertà, 19 novembre 1909; Una bella speranza dell’arte, in Libertà, 1 gennaio 1912; G. Munaro, Il «premio Cremona». Rassegna d’arte nuova e fascista, in Emporium, XLV (1939), 7, pp. 54 s.; Annuario della pittura italiana, a cura di G. Mandel, Milano 1965, p. 459; Scultura italiana contemporanea, a cura di Id., Milano 1965, p. 277; La galleria d’arte moderna Ricci Oddi, a cura di F. Arisi, Piacenza 1967, pp. 324-326; Id., L. R., Piacenza 1967; G. Pantaleoni, 50 anni di pittura in una «antologica» di L. R., in Selezione Piacentina, novembre 1967, pp. 47-53; Id., L’eccezionale successo della mostra di Ricchetti, in Selezione piacentina, gennaio 1968, pp. 57-60; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, IV, Milano 19734, pp. 2701 s.; F. Arisi, Cose piacentine d’arte e di storia, Piacenza 1978 (in partic. I settant’anni di L. R. (1897-1967), pp. 306-338; Soressi e Ricchetti rievocano la poesia del tempo perduto, pp. 428-430); Un pezzo del «premio Cremona» donato alla Galleria Ricci Oddi, in Libertà, 16 marzo 1979; F. Achilli - M. Molinaroli, Piacenza in camicia nera, Piacenza 1983, pp. 203-209; F. Bernocchi, L. R. al «premio Cremona», in Strenna piacentina, 1983, pp. 15-19; Galleria d’arte moderna Ricci Oddi, a cura di F. Arisi, Piacenza 1988, pp. 385-387; F. Arisi - L. Mezzadri, Arte e storia nel collegio Alberoni di Piacenza, Piacenza 1990, pp. 32, 35, 37, 39, 44 s., 47, 49-51, 53, 104, 307, 364, 416-422; F. Arisi, L. R. Opere dal 1917 al 1950 (catal.), Piacenza 1996; F. Arisi, L. R., Piacenza 1997, passim (con ricca bibliografia precedente); S. Fugazza, Arte e Storia. L. R. alla prima edizione del premio Cremona (1939), Piacenza 2003; A. Malinverni, 30 x 30 = ’900. Trenta opere di artisti piacentini del Novecento per il trentennale del Rotary Farnese, Piacenza 2016, pp. 12-15, 54.