Storie d’America/ Il popolo maya, mille anni di solitudine
☞ Eugenio Pasquinucci del 12 marzo 2016✎1 Commento
Nella sua recente visita in Messico, Papa Francesco ha chiesto scusa agli indios messicani per i trattamenti discriminatori subiti nel passato remoto ed anche in quello recente. La realtà è che ancora oggi i discendenti diretti delle popolazioni maya risultano ai margini della vita reale del paese centroamericano.
Nonostante la popolazione sia in larga parte meticcia, tutti i posti di potere politico o mediatico sono in mano ai bianchi di discendenza spagnola, a partire dal presidente Nieto fino ai giornalisti televisivi ed ai modelli delle pubblicità. Ovunque nel mondo nelle offerte di posto di lavoro si chiede, come è prassi, un aspetto distinto, ma in Messico è anche un modo poco elegante e molto ipocrita per escludere in partenza personale di appartenenza india.
I rapporti tra la gente maya e gli spagnoli sono sempre stati imperniati sul mistero ed il fascino, sull’ ingenuità e la ferocia , sull’ attrazione e l’ isolamento. I primi contatti con uomini maya li ebbe proprio Cristoforo Colombo, che paradossalmente non mise mai piede nel continente americano, ma solo nelle isole caraibiche. Al largo delle coste del golfo del Messico, in una delle successive spedizioni alla scoperta dell’America, incontrò delle grandi piroghe guidate da commercianti maya. Qui la leggenda dice che Colombo chiese chi fossero e loro risposero “Uuy u tan “ ovvero “non capisco”; da qui il nome Yucatan attribuito alla penisola che delimita a sud il grande golfo.
Poi molti indios maya entrarono a far parte degli equipaggi dei pirati inglesi, tra i quali sir Francis Drake, che depredavano al largo i ricchi galeoni spagnoli. Avvistando gli squali i marinai maya urlavano “shok!” , termine che poi in inglese divenne “shark”.
Ma il vero incontro tra gli spagnoli ed i maya avvenne nell’interno del continente , con l’arrivo dei missionari , francescani e domenicani, che entrarono anche in competizione per il controllo delle anime della popolazione india.
I Maya avevano appena subito il crollo della loro civiltà, durata dal 1800 a. C. fino ad allora, con un apogeo nel 900 d. C. Le grandi città si erano misteriosamente svuotate, furono presto avvolte nella jungla e dimenticate per qualche secolo. Su quali furono le cause si aprì un grande dibattito tra archeologi e scienziati. Negli anni ’70 , sotto l’influenza degli scritti di Peter Kolosimo, giornalista italiano appassionato di ufologia, si cercò persino di dare una spiegazione extraterrestre alla scomparsa di quella civiltà. I Re Maya furono considerati come alieni tornati alle loro basi su altri pianeti. In realtà i Maya furono vittime di un disastro ambientale collettivo, che stranamente le associazioni verdi di oggi non hanno debitamente messo in risalto. Deforestazione, esaurimento di risorse alimentari per monocolture come il mais, apporto idrico incostante, costrinsero le popolazioni a fuggire , sfiduciate dai loro dei che non le avevano protette, incalzate anche dall’arrivo degli Spagnoli.
Piano piano si instaurò un rapporto con i primi missionari che appena riuscirono a farsi capire, fecero breccia con alcuni messaggi. Quando durante la messa l’officiante cattolico recitava : “ .. e dal sangue versato da Dio in remissione dei nostri peccati “ i Maya accostavano questo sacrificio alle lacrime che un loro dio a forma di drago mandava sulla terra sotto forma di pioggia salvifica.
Quando poi furono evocate dai padri missionari figure come i nostri martiri cristiani, San Sebastiano trafitto da decine di frecce, San Lorenzo posto su una graticola, San Giovanni Battista decapitato, gli indios si riconobbero in questi uomini, vittime di sacrifici simili a quelli imposti al popolo maya da re e sacerdoti nei loro riti propiziatori.
I Maya accettarono quindi il cristianesimo ma a condizione di rimanere fedeli ad alcuni loro culti pagani. Ancora oggi nelle chiese del Chapas è possibile vedere uno sciamano comunicare con l’aldilà per raggiungere un familiare defunto su richiesta di qualche parente. Le navate della chiesa si avvolgono di nubi di incenso nelle ore in cui non si celebra alcuna messa, ed il tutto è tollerato dai preti del luogo. Lo stesso avviene nei cimiteri cristiani, in cui le tombe sono intonacate di vivaci colori pastello ,dove esiste un’area in cui lo sciamano , bruciando due candele, fa parlare i vivi con i morti.
Per capire la civiltà maya, occorreva decrittare i glifi presenti in tutti i templi ed i palazzi delle rovine archeologiche, che descrivevano scene di vita quotidiana, di rituali e di atti di guerra. La decrittazione degli antichi glifi maya divenne persino un episodio marginale della Guerra Fredda.
Nel 1945, con la caduta della Germania nazista, l’Armata Rossa nella sua marcia verso Berlino compì ogni genere di efferatezza. Più di un milione di donne tedesche vennero stuprate ed uccise ; delitti che commisero in misura minore anche gli americani, nell’ultimo film di Brad Pitt “Fury” se ne parla di sfuggita. Anche le opere d’arte custodite nei musei fecero una brutta fine e tra le testimonianze dell’antichità venne anche trafugato un manoscritto maya da parte di un epigrafista russo, Yuri Knorosov. Tornato in patria, senza spostarsi mai da casa, Knorosov riuscì a trovare la chiave di lettura degli antichi glifi, che spiegavano la vita ed il significato della civiltà maya.
La cosa non piacque agli Stati Uniti, pur sempre americani , che non potevano tollerare che un sovietico arrivasse a spiegare prima di loro l’antico enigma della scrittura maya. Gli Stati Uniti si decisero a dare il via libera alle nuove conoscenze sulla civiltà maya, solo quando l’archeologa Tatiana Proskourakoff, fuggita con la sua famiglia negli Usa dalla rivoluzione sovietica nel 1916, venne a contatto con gli scritti di Knorosov e li divulgò.
Si venne così a comprendere la grande conoscenza che i Maya avevano della astronomia che portò alla formulazione del famoso calendario , alla previsione delle eclissi, alla precisa identificazione degli astri, riprodotti successivamente in modo esatto anche sul mantello della Madonna di Guadalupe, simbolo massimo della cristianizzazione del Messico.
Ma si comprese anche l’efferatezza dei sacrifici maya, dove veniva mozzata la testa ai prigionieri, senza strappare loro il cuore, tanto meno pulsante, pratica di altre popolazioni. I crani dei decapitati venivano perforati all’altezza delle tempie ed infilzati ad uno ad uno in un grossolano e macabro spiedo.
Queste atrocità riemergono oggi nei violenti delitti dei narcos con spaventose mutilazioni dei corpi di chi si oppone loro. Inquietante è l’alleanza stipulata dal gruppo Los Zetas, feroce cartello messicano, e una multinazionale del crimine di origine, ahimè, italiana, la ‘ndrangheta, per il controllo del traffico della droga e delle proprietà immobiliari delle località turistiche dello Yucatan.
Oggi il Papa ha cercato di dare dignità e speranza alle popolazioni indie americane, quattro anni dopo quello che il calendario maya definì il termine di un b’ak’tun, un periodo di quattrocento anni , che cadeva nel febbraio del 2012, ricorrenza che molti superficialmente chiamarono la fine del mondo.
Difficile pensare che qualcosa cambierà.
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