Cesare Gheduzzi (Crespellano 1894 – Torino 1943)
Flavio Bonardo
Cesare Gheduzzi - Ponte di Rialto - Già mercato antiquario
Alcuni anni fa uno sketch pubblicitario televisivo, terminava con il protagonista che pronunciava una frase fatidica: “…E l’ultimo chiude la porta”. Ma Cesare Gheduzzi, ultimo di una famiglia di pittori (il padre e tre fratelli) non ha chiuso nessuna porta anzi, ha aperto un portale sulla pittura figurativa piemontese del primo Novecento. In merito, Giuseppe Luigi Marini ha scritto: “I quadri di Cesare Gheduzzi denunciano un determinante debito ai modi espressivi del suo maestro Carlo Follini dove, nella larga produzione di paesista e di marinista, pur nell’evidenza di una sempre rintracciabile e ravvisabile matrice folliniana, sono individuabili i caratteri distintivi, ben formati di una personalità autonoma: simili a quelli di Follini gli stilemi di figurette e di risalti luminosi ma, in Gheduzzi risolti ora con secchezza e colori freddi”. E aggiungo: con una luce che, specie nelle Veneziene indora tutto il dipinto.
Cesare Gheduzzi nacque a Pragatto frazione di Crespellano il primo di maggio del 1894 da Ugo (Pittore e Scenografo) e da Giuseppa Fornaciari, ultimo di quattro maschi, preceduto da Augusto, Giuseppe e Mario.
Il padre, diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, nel 1874 era stato nominato –aiuto scenografo- al Teatro Regio di Torino sotto la direzione del suo corregionale il professor Augusto Ferri (1829 – 1895) che dopo il 1880 gli cederà la direzione. Il 20 di settembre dell’anno 1900 all’età di sei anni, Cesare con la madre e gli altri componenti della famiglia raggiunsero la capitale Sabauda dove già vivevano il genitore con il primogenito. In un contesto del genere, Cesare non poté essere altro che pittore. I primi insegnamenti li ebbe dal padre ma a farsi carico della sua crescita artistica fu il fratello Augusto (1883–1969) rigido nell’insegnamento del disegno e della prospettiva. Di carattere un po’ ribelle, Cesare non pensò mai d’iscriversi all’Accademia Albertina di Belle Arti e come lui anche il fratello Mario mentre il secondogenito Giuseppe smise gli studi accademici dopo aver completato il biennio lasciando così che, a vantarsi d’aver terminato gli stessi, fosse soltanto il maggiore di loro: Augusto. Anche Cesare come i fratelli si aggregò al padre nel lavoro scenografico che impegnava veramente tutti i componenti della famiglia ma questo, non gli vietò di coltivare la pittura specie quella di paesaggio.
Cesare Gheduzzi - Cesare Gheduzzi - Campagna piemontese con contadina - Collezione privata
Nella Torino di quegli venti del novecento ebbe modo di conoscere tanti artisti, alcuni dei quali già consolidati nella fama e di questi apprezzarne gli stili. Il dipinto qui pubblicato e titolato –Campagna piemontese con contadina- e perfettamente inserito nei modi di Enrico Reycend, dove anche la figurina ben dritta sul busto non è ancora uno stilema di derivazione folliniana. Nel 1914 i venti di guerra fischiavano alle porte e anche Cesare oramai ventenne fu chiamato a visita di leva. Carlo Alfonso Maria Burdet (architetto, pittore, poeta e storico) nel suo – I Gheduzzi tra Otto e Novecento-narra che Cesare chiamato a visita di leva il 17 aprile 1914 non si presentò e pertanto fu dichiarato renitente ma in una successiva chiamata in data del 14 maggio ne ottenne la cancellazione e fu considerato rivedibile per deficienza toracica. Gustosa è poi la scheda compilata dal tenente medico durante la visita di leva, che così lo descrisse: “Altezza cm. 162, torace di cm. 79, capelli lisci e neri, naso greco, mento giusto, occhi grigi, colorito roseo, dentatura sana, sa leggere e scrivere e di professione si dichiara pittore” mentre invece il più anziano dei suoi colleghi, Giuseppe Buscaglione sul retro dei suoi elaborati si dichiarava esplicitamente: “Artista pittore” e Emilio Vacchetti (pittore e ceramista) sorridendo diceva che dipingere non era un mestiere ma un piacere. Intanto la guerra contro l’Austria richiedeva sempre di più materiale umano e Cesare a suo tempo rivedibile, il 21 febbraio 1917 fu osservato presso l’Ospedale Militare di Torino e riconosciuto inabile e “riformato per alienazione mentale a tipo paranoico a tinta persecutoria”. Successivamente richiamato e inviato al fronte, prese parte alla Decima Battaglia dell’Isonzo che fu combattuta nei pressi di Plava tra il 12 maggio e il 5 giugno 1917 durante la quale prima di uscirne ferito aveva dipinto una tela titolandola appunto: -Studio nei pressi di Plava- che sarà poi esposta all’Esposizione della Società Promotrice di Belle Arti di Torino che, quell’anno (1917) si tenne presso i locali del Circolo degli Artisti. A guerra conclusa, riprese l’attività di scenografo in appoggio al padre che si valeva anche della collaborazione degli altri figli Augusto, Giuseppe e Mario; quest’ultimo dopo aver lavorato con il fratello Cesare per L’Aquila Films, iniziò un rapporto con la FERT di Roma che ebbe termine solo con la pensione.
Cesare Gheduzzi - Mercato a Porta Palazzo - Già mercato antiquario
Nel 1920 Cesare fece l’incontro della vita, entrando nello studio di Carlo Follini, al quale accorrevano in molti per apprendere l’arte del paesista in cui era veramente maestro. Da notare che il Follini aveva iniziato gli studi accademici soltanto all’età di 25 anni mentre prima, suo malgrado era stato impiegato presso l’intendenza militare e poi assicuratore nel ramo incendi, fallito in entrambe ma, con nel cuore un solo sogno: diventare pittore, arte che sino a quel momento aveva esercitato da autodidatta. Dopo un lungo colloquio, il Maestro che aveva superato la settantina, e che aveva girato mezza Europa, vide nel giovane Gheduzzi un bel carattere forse un po’ da domare ma, riconoscendogli grande sensibilità lo fece suo discepolo che in breve ne divenne il prediletto. Follini lo portò con se in giro per l’Italia in un viaggio durato oltre due anni visitando le più pittoresche località montane, marine e lacustri e le più belle città italiane che, hanno nome Roma, Venezia Milano, Napoli, Genova, Bologna, Padova ecc. dalle quali Cesare trasse stupende opere riportanti le piazze e i palazzi più importanti, il tutto ripreso durante le attività lavorative. Ugo Gheduzzi figlio di Giuseppe (architetto, scenografo e pittore) ricordando lo zio Cesare diceva che questi dava molta importanza alla sensibilità (un dono che si accresce coltivandola) e affermava che, senza quella un pittore non poteva considerarsi un’artista. Davanti al soggetto egli, contemplava, ammirava e percepiva così tante emozioni sì da esprimersi col suo proprio linguaggio che, sostenuto dal pennello faceva cantare il colore che si armonizzava sulla tela. Giuseppe Pellizza da Volpedo sul suo taccuino in data 10/10/1888 così scriveva: “Bisognerebbe che un’artista fosse sempre entusiasmato del suo lavoro e che lavorasse con foga tale da dimenticare tutto il mondo tranne il suo lavoro. Dal pennello del pittore, in simili momenti non può uscire che buona pittura”. L’otto novembre 1925 mentre ancora esercitava l’attività di capo scenografo del Teatro Regio di Torino, Ugo Gheduzzi dopo breve malattia, moriva lasciando i figli liberi di agire e di operare secondo le loro volontà. Giuseppe esercitava l’attività di pittore e proprio quell’anno, aveva condotto all’altare Livia Musso ballerina de Teatro Regio; il fratello Mario aveva contratto matrimonio già nel lontano 1913 mentre Cesare staccatosi dalla famiglia aveva stabilito il suo domicilio presso l’hotel Casalegno di Torino sito nella centrale via Garibaldi, anche la sorella minore Isolina era andata sposa, e con l’anziana madre era rimasto solamente il fratello maggiore Augusto. Cesare dopo gli insegnamenti impartitegli da Carlo Follini e il tempo trascorso con il maestro, era considerato un pittore affermato: galleristi, antiquari e collezionisti acquistavano i suoi elaborati.
Cesare Gheduzzi - Nel mare di Bordighera, 1921 - Bra, collezione privata
Per ben tre inverni (tra il 1925 e il 1927) soggiornò a Bordighera (città che conosceva bene per aver già più volte tratto quel mare nelle sue tele) presso l’hotel Parigi per dipingere il mare anche in quella stagione. Nel 1935 condusse all’altare Maria Gais e stabilì il suo domicilio a Magenta, (città che il 4 giugno del 1859 aveva visto la sconfitta degli austriaci ad opera dell’esercito franco-piemontese). Magenta gli offriva argomenti per il suo dipingere con la pianura padana attraversata in quelle zone dal Ticino: piane prative con alti alberi frondosi, animate da attività lavorative, da mucche e pastorelle o fascinaie curve sotto il peso dei loro carichi. Tutti questi lavori (e sono tanti) Cesare dotato di grande capacità di trasferire dal soggetto alla tela, li realizzava tutti in plein-air anche se ancora oggi molti, erroneamente li credono in parte lavori di studio. Marziano Bernardi in occasione della mostra postuma allestita nel 1949 dai fratelli Fogliato di Torino scrisse: “La sua spontaneità e facilità –qualità in lui ereditarie- gli favorirono un mestiere rapido e pronto, svolto fin dagli inizi con mano sicurissima e soprattutto con una fertilità eccezionale”. Ha proposito di plein-air, sempre il Pellizza così annotava: “Ho constatato che i lavori fatti all’aria aperta sono quelli che hanno maggior pregio in quanto a colore”. Cesare Gheduzzi assieme al fratello Giuseppe e a un altro bravo pittore di montagna: Mario Moretti Foggia, sono considerati i pittori del Rosa per aver dipinto la montagna e i suoi dintorni quasi con accanimento, soggiogati dallo spettacolo che il massiccio offriva loro. Da Magenta egli saliva la valle Anzasca e raggiungeva Macugnaga per dipingere la parete est del monte Rosa la più alta con i suoi 2600 mt. e un’ampiezza di oltre tre kilometri; quando invece veniva a Torino per unirsi al fratello Giuseppe, salivano la valle d’Aosta e raggiungevano Gressoney per dipingere l’altro versante del Rosa che mostra l’accecante ghiacciaio del Lyskamm da lui più volte ripreso.
Cesare Gheduzzi - Il Lyskamm da Gressoney - Già mercato antiquario
Da Gressoney attraverso il colle d’Olen potevano raggiungere Alagna in Valsesia altra palestra per praticare il loro sport preferito: la pittura. Come il fratello Mario, anche Cesare aveva una idiosincrasia per le mostre in genere sia personali che collettive (a differenza di altri colleghi che facevano carte false per presentare più elaborati o per essere ammessi alla più importante manifestazione artistica italiana che era ed è la Biennale di Venezia) infatti le presenze presso la Promotrice di Torino o il locale Circolo degli Artisti si contano su due dita, tante sono le stesse.
Dopo la partecipazione sopracitata del 1917 Cesare, fu presente nel 1942 con l’opera: -Gressoney la Trinité- all’annuale rassegna della Promotrice che quell’anno fu allestita presso la Galleria Civica d’Arte Moderna. Il secondo conflitto mondiale portò incertezze, confusioni, violenze e ingiustizie ma, soprattutto timori e paure. Cesare con la moglie assieme ai fratelli Augusto, Giuseppe e la famiglia di questi, si rifugiò ad Aglié Canavese. Cesare e Augusto in quel tristo 1943 (non si conosce con esattezza il periodo) inviarono richiesta presso -l’Ufficio Difesa Comando Territoriale di Torino- per andare a dipingere in Val d’Aosta e se giunse il benestare fu l’ultima sua escursione per riprendere nelle sue tele le amate montagne. La morte (benché a sua insaputa) gli stava alle calcagna e colpito da malore fu ricoverato all’Ospedale -Le Molinette- di Torino dove in pochi giorni si spense: era il 27 dicembre del 1943. Dopo la sua morte la prima a ricordarlo fu la Galleria Bolzani di Milano con dipinti ispirati soprattutto a Venezia. Nel 1949 fu la volta della Galleria dei fratelli Fogliato di Torino, con una presentazione a catalogo di Marziano Bernardi e nel 1975 a rendergli omaggio fu la Galleria Perazzone di Biella. Nel 1998 La Galleria Berman di Torino che sempre ebbe una particolare attenzione per le opere dell’artista, espose sessantasei dipinti, tutti riprodotti a catalogo con una presentazione del professor Angelo Mistrangelo che, in chiusura ha scritto: “Il suo mondo pittorico si identifica con una ricerca che, ora trova nuovi riscontri e una più avvertita definizione nel novero di quegli artisti che hanno ripreso l’incanto della natura, del paesaggio, di un meditato verismo”. Macugnaga, per ricordare coloro che calpestarono quel suolo per dipingere la sua Montagna, nel 2014 presso il -Museo della Montagna e del Contrabbando- allestì, una mostra titolata: “La Storia Dipinta” e per tutto il mese di agosto, turisti e amatori d’arte poterono per la gioia dei loro occhi, ammirare le opere di sei bravi pittori che corrispondono ai nomi di: Federico Asthon, Carlo Bossone, Cesare Gheduzzi, Enrico Mariola, Mario Moretti Foggia e Giuseppe Palanti. A tutti coloro che amano l’arte figurale espressa a cavallo tra il finire dell’Ottocento e del primo Novecento dico: non dimenticatevi di Cesare Gheduzzi.
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