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mercoledì 21 ottobre 2009
Passaggio in Siria - Palmira - parte seconda-
Qui incontro per caso moderne ragazze che pur portando il velo che caratterizza la loro fede islamica non disdegnano di posare. Continua la visita della cittadella . Non lontano dalla Porta dei Leoni troviamo la grande sala del trono Qui c’era la residenza originaria di al-Zahir Ghazi distrutta più volte dai Mongoli e rifatta dal mamelucco Quait Bey nel XV secolo; alla sala si accede da una sorta di vestibolo. La sala vera e propria misura 25,5 m x 23,5 ed era coperta da nove cupole riccamente decorate ad affresco;essa risulta oggi eccessivamente restaurata e ridecorata.
Si riparte alla volta della grande diga di Assad sull’ Eufrate e a 200 Km da Aleppo si raggiunge Resefà anticamente chiamata Sergiopoli . E’ la più interessante città morta del deserto,dopo Palmira : qui fu marterizzato San Sergio.
La citta’di Resefa e’ di forma rettangolare, approssimativamente di 550 m x 400 : la sua cinta muraria e’ la fortificazione meglio conservata del periodo paleobizantino: è lunga quasi due km, spessa 3 m, alta circa 14 m ed e’ rinforzata in fase successiva da 50 torri rettangolari, poligonali o semicircolari. Su ogni lato vi erano due porte, una principale e una secondaria. La porta nord, a causa della sua ricchissima decorazione e’ considerata la costruzione profana più’ significativa dell’arte bizantina: si tratta di una porta di due cortine murarie che, affiancate da due salienti rettangolari, creano un cortile interno, Il passaggio attraverso il muro esterno era unico. Verso l’interno della città’, invece, si aprivano tre porte architravate; sulla facciata verso il cortile interno sei colonne inquadravano le porte e sostenevano un’elegante arcata. Lungo le pareti delle torri quadrangolari una serie di semipilastri creava la suggestione di un porticato. Il fregio di grappoli, di foglie di vite e capitelli con giri di foglie di acanto costituiscono uno dei migliori esempi di arte bizantina in Siria.
Nella parte interna del muro di cinta vi era una specie di galleria intermedia con volte a botte a due piani per le sentinelle e con feritoie verso l’esterno.
Come le mura cittadine, anche le grandi chiese bizantine all’interno della città sono costruite con grandi blocchi parallelepipedi in calcare locale. Nel cosiddetto martyrium, con le sue tre absidi a forma di esedra, si mescolano i sistemi della basilica a pilastri e della costruzione centrale, creando una divisione dello spazio molto particolare: nel mezzo, un’arcata a trifoglio, che riprende l’andamento dei muri esterni dell’edificio, crea con quest’ultimi un ambulacro attorno al perimetro interno. La copertura doveva essere costituita da una cupola centrale controffortata dalle quattro absidi.
La Cattedrale della Santa Croce e’ una basilica a colonne con tre navate: in origine, la navata centrale era divisa da quelle laterali per mezzo di tre pilastri cruciformi che, su ciascun lato, sorreggevano tre grandi archi con una luce di circa dieci metri e in seguito si dovettero inserire tre colonne per sorreggere due archi di minori dimensioni entro ogni grande campata, e aggiungere dei poderosi contrafforti ai muri esterni. Le colonne utilizzate in questa occasione sono monolitiche, di marmo rosa, e hanno capitelli con doppio giro di foglie di acanto e iscrizioni in greco. Al centro della navata, sopraelevata, si trovava il bema che ospitava 28 sedili per il clero; al centro, originariamente era custodito il sarcofago di San Sergio. L’edificio fu dedicato alla Santa Croce nel 559 d.C. dal vescovo Abramo e subbi’ notevoli trasformazioni tra la fine del VI secolo e nel 1091; nel XIII secolo, quando la città’ fu abbandonata, la chiesa era ancora in uso.
All’angolo sud-ovest della città’ si raggiungono le cisterne dove un acquedotto convogliava l’acqua piovana invernale, raccolta poco distante ad ovest della città’, e costituiva una riserva per due anni; sono ancora perfettamente conservati quattro grandiosi bacini rettangolari, con volte in mattoni e pozzetti per la manutenzione alla sommità’. Verso nord, fuori le mura, si trovano le rovine del palazzo di al-Mundhir. L’edificio presenta una pianta cruciforme inscritta in un quadrato; la parete di fondo era tripartita da un’abside e da due sale rettangolari, come era tipico delle basiliche. La copertura poggiava su quattro solidissimi pilastri cruciformi ed era costituita da volte a botte, nei bracci della croce, e da piccole cupole ,nei quadrati angolari. L’edificio è stato interpretato come sala udienze di al-Mundhir,capo ghassanide che faceva parte della clientela dell’imperatore bizantino (569 d.C.) e che ,probabilmente ,teneva la sua corte a Resafà.. Continuazione per Palmira arrivo a tarda sera, e primi scatti notturni . La citta’ di Palmira e’ stata un punto di incontro fra Oriente ed Occidente e un fervidissimo centro artistico e culturale.
Ancora oggi, meta di turisti da tutte le parti del mondo, Palinira meriterebbe da sola un viaggio in Siria.
Storia
Palmira e’ il nome attuale dell’antica Tadmor, la cui attestazione ricorreva già’ nel II millennio a.C. nelle liste paleo-assire dei mercanti di Kanesh e successivamente nei testi di Mari e di Emar. Non si conosce il significato del suo nome antico che recentemente e’ tornato in uso per il villaggio costruito all’esterno dell’area archeologica. A partire dal IV secolo a.C., quando entrò’ nella sfera culturale ellenistica, la città assunse il nome di Palmira. I resti degli insediamenti più’ antichi furono sepolti dai nuovi e grandiosi edifici sorti a partire dal secolo d.C. quando la città fu definitivamente annessa all’Impero Romano all’epoca di Tiberio (14-37 d.C.) ed entrò a far parte della Provincia della Siria ai tempi di Nerone (54-68 d.C.).
Sorta intorno ad una sorgente di acqua sulfurea, “afqa”, Palmira si era da tempo guadagnata una posizione chiave come stazione di sosta per le carovane che trasportavano merci dalla Mesopotamia, dall’India e dalla Cina e all’intermediazione commerciale si era poi aggiunta quella politica, soprattutto nel periodo in cui il conflitto tra Romani e Parti era diventato più aspro. Dopo la caduta di Petra nel 106 d.C., furono dirottate su questo percorso anche le carovane che provenivano dall’Arabia meridionale e la città raggiunse uno straordinario benessere dovuto essenzialmente ai pedaggi richiesti per il passaggio e il rifornimento d’acqua. L’elenco delle tariffe doganali era stato redatto su una stele (oggi conservata all’Eremitage) che porta la data del 137 d.C., ossia alla fine del regno di Adriano, l’imperatore che aveva reso Palmira una città’ libera con il nuovo nome di Palmira Hadriana.
II secolo d.C. e’ l’epoca della sua massima prosperità: in architettura e
nell’organizzazione sociale lo stile romano si impone a tutti i livelli, ma
contemporaneamente un fiero attaccamento ai fondamenti culturali semitici e greci della città e’ attestato dal diffondersi della lingua e scrittura palmirena.
Con Settimio Severo o forse Caracalla, nel 212-217 d.C., fu concesso alla città il titolo di colonia romana e si passò così’ da un’organizzazione repubblicana ad una monarchica. Nel frattempo i Sasanidi, che nel 228 avevano sottratto il potere ai Parti, minavano il controllo di Palmira sulle vie commerciali; cos’ Odenato, il sovrano della città, fece numerose spedizioni militari antipersiane. Una di queste fu dettata dall’urgenza di Contrastare il sovrano sasanide Sapur I che aveva sconfitto l’esercito romano e aveva catturato l’Imperatore Valeriano (253-260). La vittoria ottenuta, unitamente alla conquista dell’Armenia, della Bitinia e della Cappadocia valsero ad Odenato la riconoscenza dei Romani, che gli diedero il titolo di Corrector Totius Orientis e il permesso di comandare tutte le truppe imperiali dislocate in Siria.
Odenato fu assassinato insieme al figlio maggiore in circostanze oscure nel 267 ed essendo il secondogenito, Vaballato, ancora troppo piccolo, il potere passò nelle mani della sua vedova,Zenobia. Quest’ultima, estremamente ambiziosa e consapevole della debolezza di Roma a quei ten minacciata aiiql su altri fronti ed in piena anarchia, si auto proclamò Augusta (267—274): preseii hioe el figlio, iniziò a coniare una propria moneta e sottomise la Siria, l’Anatolia e il Basso Egitto. La reazione romana fu immediata e Aureliano riuscì a sconfiggere i Palmireni prima presso Antiochia e poi ad Emesa e quindi assediò’ Palmira dove la regina si era rifugiata. Nel 273, dopo una strenua resistenza, la città’ cadde ma in un primo tempo fu risparmiata. In seguito ad una seconda rivolta, conclusasi con il massacro della guarnigione romana, Aureliano reagì’ con determinazione e fece uccidere soldati, contadini e tutti i cittadini, senza nessuna pietà (2 7 d.C.). Anche il tempio di Baal non fu risparmiato dal saccheggio e fu spogliato del suo tesoro.
Zenobia fu portata a Roma in catene d’oro e figurava nel corteo che celebrava il trionfo di Aureliano nel 274; concluse i suoi giorni in esilio, non lontana dall’Urbe.
Dopo questo episodio, Palmira non riacquistò più’ l’antico splendore. Un campo militare venne edificato nell’area occidentale della citta’ durante il regno di Diocleziano, il quale eresse anche una nuova cinta di fortificazione. La città era diventata solo uno sperduto avamposto sul confine orientale dell’Impero Romano.
I resti di due chiese bizantine e la notizia che Palmira era diventata una sede vescovile indicano tuttavia che la citta’ era ancora abitata all’epoca di Giustiniano. La cinta muraria fu forzata da Khaled Ibn al-Walid, il condottiero arabo che guidò la sue truppe durante il periodo del primo califfato di Abu Baker nel 634, strappando la città’ ai Bizantini. Intorno alla metà’ dell’VIII secolo, teatro di uno scontro fra Omayyadi e Abbasidi, Palmira fu nuovamente distrutta e nel 1089 una violenta scossa di terremoto fece infine crollare al suolo ciò che restava.
(continua) ritorna al filmato della parte prima
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