incisione di Morghen Raffaello
Galleria Elioarte
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MORGHEN, Raffaello. – Nacque a Portici il 19
giugno 1758 dall’incisore toscano Filippo e dalla figlia del pittore Francesco
Liani.
Il nonno materno fu ritrattista e pittore di corte presso la neonata
capitale borbonica sotto re Carlo, da pochi anni insediatosi a Napoli dopo il
viceregno austriaco. La nascita di Raffaello nella cittadina campana è legata
all’incarico ricoperto dal padre presso il laboratorio del Museo Ercolanense
sito all’interno della Villa Reale di Portici. Filippo Morghen fu infatti uno
dei principali artisti coinvolti nella redazione delle stampe a corredo
delle Antichità di Ercolano.
Raffaello iniziò a studiare disegno sotto la direzione del padre e dello
zio Giovanni Elia, dedicandosi soprattutto a riprodurre paesaggi. Si applicò
quindi anche all’arte dell’intaglio. Il suo primo lavoro attestato in questo
ambito è la riproduzione di alcuni dei Profeti in bassorilievo
eseguiti da Baccio Bandinelli per il coro del duomo di Firenze, impresa portata
a termine a soli 11 anni, in collaborazione con il padre e altri intagliatori
della sua scuola. Nel 1775 il paesaggista francese Jean-Baptiste Tierce,
colpito dallo speciale talento del giovane, lo condusse con sé in varie
peregrinazioni, durante le quali Raffaello produsse un certo numero di vedute
rimaste poi in possesso di Tierce. Di tale esperienza resta traccia anche nella
serie di vedute di Napoli che Filippo Morghen e la sua scuola intagliarono a
partire dal 1775: Raffaello assunse infatti l’incarico di eseguirne molte dal
vero.
Nel novembre del 1778 Raffaello fu mandato dal padre a Roma per
perfezionare la tecnica dell’intaglio al seguito di Giovanni Volpato dal quale
apprese il taglio lineare, tecnica che divenne in seguito una delle sue
specialità; egli si avvalse infatti raramente dell’uso del solo bulino e
preferì, soprattutto a partire dal 1810, abbinarvi sia il taglio sia
l’acquaforte, per rendere con maggiore finezza le differenti materie e
sopperire all’assenza del colore. La prima stampa eseguita da Morghen nello
studio del grande incisore romano fu L’Apparizione di Cristo alla
Maddalena di Guido Reni, che inviò al padre a Napoli. Nel 1781
affrontò la riproduzione da Raffaello Sanzio – autore del quale poi sarà
considerato il più capace interprete – eseguendo due tondi con la Poesia e
la Teologia, ubicati in Vaticano, impresa che lo qualificò ormai
artista maturo. Nello stesso anno sposò Domenica Volpato, figlia del suo
maestro.
La tradizione vuole che la fanciulla fosse stata già promessa sposa dal
padre ad Antonio Canova ma che, dichiaratasi innamorata di Morghen, fosse
ceduta dal grande scultore all’incisore. Dall’unione tra Morghen e Domenica
Volpato nacquero 13 figli di cui solo cinque –tre maschi e due femmine –
giunsero all’età adulta. Almeno due di essi, Antonio e Raffaello, si dedicarono
all’arte paterna.
Nel 1784 Morghen ritornò su Raffaello incidendo la Messa di Bolsena,
una delle otto lunette delle Stanze Vaticane, giudicata migliore delle altre
sette riprodotte da Volpato e la sua scuola. Nel 1786 partecipò con lo stesso
Volpato all’edizione del manuale di disegno: Principj del disegno,
tratti dalle più eccellenti statue antiche per li giovani che vogliono
incamminarsi nello studio delle belle arti (Roma). Il 1784 fu anche
l’anno in cui portò a termine altre due grandi tavole, il Parnaso di
Raphael Mengs in Villa Albani e La Caccia di Diana di
Domenichino. Dedicò quest’ultima a Tomaso Puccini, direttore della Galleria
degli Uffizi di Firenze e suo grande amico. Durante gli anni romani Morghen
venne in contatto con il vivace ambiente culturale internazionale della
capitale pontificia imbattendosi in Canova e nella sua arte: mentre trascorreva
un periodo di villeggiatura ad Albano, portò a termine la riproduzione
del Teseo dell’artista di Possagno. Fu incaricato in seguito
di realizzare la stampa della tomba di papa Clemente XIII (Carlo Rezzonico)
dello stesso Canova, lavoro che dovette ritoccare poiché, una volta messo in
opera in S. Pietro, il gruppo scultoreo risultava differente dalla concezione
originale per via dell’illuminazione particolare cui era sottoposto nella
basilica.
Raffaello non interruppe mai i rapporti con la sua famiglia a Napoli, e nel
1790 vi si trattenne per qualche tempo per visitare i congiunti. In tale
frangente incise il ritratto del padre Filippo su disegno di suo fratello
Guglielmo, il quale si incaricò di condurre, a sua volta, disegno e stampa del
ritratto di Raffaello stesso. Tornato a Roma, alla fine del 1792, ultimò la
stampa del Ritratto equestre di Francisco de Moncada di Antoon
van Dyck.
La stampa rappresentò la prima vera occasione per Morghen di affacciarsi
alla ribalta europea ed è senza dubbio ritenuta, ancora oggi, uno dei punti più
alti della sua arte. Egli si servì del disegno che l’amico Stefano Toffanelli,
ottimo disegnatore e buon ritrattista, aveva eseguito per Gavin Hamilton, il
quale lo aveva donato a papa Pio VI (Giannangelo Braschi). Morghen conobbe
Toffanelli nella stessa capitale pontificia, dove il lucchese aveva lo studio
insieme al fratello Agostino. I due artisti avevano già collaborato in passato,
ma l’autore del disegno questa volta non fu contento del risultato e accusò
l’incisore di avere intagliato la rotula del ginocchio piegato del cavallo più
piccola di quella dell’altro arto del destriero, piantato; la cosa finì per generare
un certo malanimo tra i due, superato solo alcuni anni dopo.
A giugno del 1792 la corte borbonica propose a Morghen di incidere i
capolavori farnesiani conservati nel palazzo di Capodimonte a Napoli, lavoro
per il quale avrebbe beneficiato di una pensione di 600 ducati annui, ai quali
si sarebbe aggiunta un’ulteriore somma di denaro per ogni quadro riprodotto,
una sorta di premio da stabilirsi di volta in volta dai direttori della stessa
galleria che avrebbero dato all’artista anche indicazioni precise sui soggetti
e addirittura sul metodo da utilizzare nell’eseguire le incisioni. Tali
condizioni apparvero troppo restrittive a Raffaello, ormai artista affermato,
che preferì dunque trasferirsi a Firenze, lavorando alla corte del granduca
Ferdinando III, il quale con un rescritto del 9 gennaio 1793 gli accordò una
pensione di 400 scudi annui più la possibilità di scegliersi un’abitazione nel
centro cittadino, con il solo obbligo di stabilire una scuola d’incisione.
Lasciò inoltre a Morghen la libertà di decidere i soggetti e le modalità delle
riproduzioni. Il 1° maggio di quello stesso anno Raffaello giunse a Firenze,
dove portò a compimento una riproduzione della Madonna della
seggiola di Sanzio iniziata a Roma, che dedicò al generale marchese
Federico Manfredini, amateur, collezionista di stampe e principale
fautore dell’incarico toscano dell’artista.
Morghen riprodusse in varie occasioni dipinti di Angelica Kauffmann. A
Roma, incise un suo ritratto di Emma Hart, giovane e famosa seconda moglie
dell’ambasciatore britannico a Napoli William Hamilton. Assai probabilmente il
diplomatico gli aveva affidato tale commissione poiché si era imbattuto in
qualcuno dei suoi lavori presso la bottega napoletana del padre Filippo.
Nonostante le ottime premesse, la stampa del ritratto non piacque alla
Kauffmann la quale, pure altrimenti nota per la mitezza del suo carattere, pare
avesse avuto un duro scontro con l’incisore a causa dei cambiamenti, secondo
lei eccessivi, da questi introdotti. La tavola, dunque, restò presso l’autore
con la denominazione di Musa comica. Da altrettante opere di
Angelica Kaufmann provengono anche due ritratti: quello della moglie
dell’artista e di Fortunata Sulgher-Fantastici, poetessa ‘all’improvvisa’
piuttosto famosa a Firenze e grande amica di Angelica stessa. La tavola di
Morghen fu posta a corredo della pubblicazione delle poesie nell’edizione
livornese del 1794 (Poesie di Fortunata Sulgher Fantastici fra gli arcadi
Temira Parraside accademica fiorentina).
La consuetudine di accludere il ritratto dell’autore all’interno di volumi
a stampa procurò a Raffaello Morghen la possibilità di incidere i ritratti di
alcuni tra i maggiori letterati italiani come Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso
e, più tardi, Guicciardini e Boccaccio, per le prestigiose edizioni pisane
delle loro rispettive opere curate da Giovanni Rosini (editore e professore di
Eloquenza italiana a Pisa). Significativa è la riproduzione del Ritratto
di Bindo Altoviti – opera di Sanzio – ancora conservato a casa
Altoviti all’epoca dell’incisione da parte di Morghen. La tavola, a lungo
ritenuta un autoritratto del grande urbinate sulla base del fraintendimento di
una notizia nelle Vite vasariane, come tale fu acquistata dopo
l’esecuzione della stampa, da Ludovico I di Baviera. In seguito, questi
commissionò al pittore Pietro Benvenuti, professore presso l’Accademia di
Firenze, un ritratto di Morghen, perché il volto del Raffaello incisore potesse
fare da pendant a quello – supposto – del Raffaello pittore.
La Trasfigurazione di Raffaello, è un altro dei capolavori
di Morghen. La stampa ebbe due versioni e una lavorazione che si protrasse
oltre il passaggio del secolo.
Dopo il primo anno di lavoro sull’opera di Sanzio, nel 1797 Morghen si recò
a Roma dove, avendo osservato l’originale, trovò il disegno di Antonio dell’Era
– di cui si era servito – non adeguatamente fedele. Ricominciò dunque il
lavoro, affidandosi questa volta a Stefano Toffanelli, il quale aveva avuto il
tempo di osservare attentamente il capolavoro nell’attesa del trasferimento di
esso al Louvre. Toffanelli aveva ricevuto commissione da Volpato, molto
probabilmente poiché Morghen preferì non rivolgersi all’amico personalmente nel
timore di un rifiuto, per via dei dissapori sorti al tempo del ritratto
Moncada. Il lavoro della Trasfigurazione si protrasse, con
qualche interruzione, fino al 1811.
La storia editoriale della Madonna col bambino dormiente di
Tiziano, eseguita su commissione del pittore inglese Guy Head, fu piuttosto
travagliata poiché l’artista britannico morì poco dopo il suo rientro in
patria. Il dipinto, dunque, non conobbe altra stampa se non l’esiguo numero di
prove eseguite dall’autore stesso, fino a quando Morghen rintracciò la vedova
di Head, dalla quale tuttavia non riuscì, come sperava, a ottenere il rame
originale che la donna preferì cedere ai venditori di stampe Artaria di
Mannheim. Nel 1800, dopo tre anni di lavoro, Morghen pubblicò l’incisione
del Cenacolo di Leonardo, su disegno di Teodoro Matteini,
appositamente inviato sul posto dal granduca Ferdinando.
L’opera riscosse un enorme successo in Italia e all’estero, l’Accademia di
Londra espresse alto apprezzamento per il lavoro; a esso nel 1817 Wolfgang
Goethe rimandava il suo amico Carl Friedrich Zelter, invitandolo a osservare la
stampa con attenzione e venerazione, e ancora negli anni Quaranta
dell’Ottocento Jacob Burckhardt se ne ricordò nella sua visita al refettorio di
S. Maria delle Grazie a Milano. La tavola è tenuta in grande considerazione
anche oggi, poiché il disegno di Matteini fu eseguito prima che venisse aperta
la porta nel centro della parete che ha cancellato per sempre i piedi del
Cristo. Giovanni Volpato – in due lettere dirette all’ex allievo per
ringraziarlo dell’invio della stampa di cui gli aveva fatto omaggio – ebbe a
definire il lavoro per certi versi superiore ai suoi. In una delle missive
Volpato fornì un ragguaglio preciso e vivace del gran numero di persone che si
recavano ad ammirarla: amatori stranieri e parecchi giovani incisori, colpiti
ma anche scoraggiati dalla bravura del maestro. La stampa subì invece una
stroncatura da parte del pittore milanese Giuseppe Bossi nel suo testo
sul Cenacolo edito nel 1810: egli imputò al disegnatore scarsa
fedeltà all’originale e accusò l’incisore di non avere saputo rendere la
magistrale e armoniosa distribuzione della luce, nonché lo stile pacato
caratteristico del grande artista fiorentino. Nel criticare Morghen, Bossi
esortava altri grandi del bulino a cimentarsi nel capolavoro leonardesco,
rivolgendosi in particolare a Giuseppe Longhi, suo conterraneo. L’incisore
lombardo però non prese in considerazione la proposta poiché aveva incontrato
brevemente Morghen a Roma e nutriva per lui una sincera stima. Morghen mostrò
di ricambiare tale stima nel 1820 quando, in occasione della stampa di Longhi
dello Sposalizio della Vergine di Raffaello, si adoperò per
facilitare i contatti tra il collega milanese e Luigi Bardi, litografo,
disegnatore e direttore di una calcografia a Firenze, al quale lui stesso si
era rivolto più volte. Dal canto suo, nel 1811, fu proprio Longhi a fare
pressione affinché l’Accademia di Brera acquisisse l’intero corpus incisorio
di Morghen, proveniente proprio dalla raccolta di Bossi.
La notorietà internazionale e la ragguardevole influenza raggiunta da
Morghen nell’ambiente culturale fiorentino imposero sin dal 1803 la sua nomina
a maestro d’incisione presso l’Accademia di belle arti.
All’Accademia Morghen costituì in breve un folto gruppo di allievi: tra gli
altri, il fratello Antonio, Niccolò Palmerini, Angelo Emilio Lapi e Antonio
Calendi, suoi aiuti in Accademia, e, sebbene più raramente presente, lo
spagnolo Emanuel Esquiviel. Calendi fu autore insieme a Nicola Benvenuti di una
sorta di riedizione dei Principi del disegno di Morghen e
Volpato, dal titolo Corso elementare di disegno diviso in quaranta
tavole tratte dalle più eccellenti opere greche e da alcune pitture di
Raffaello disegnati da Nicola Benvenuti, incise e pubblicate da Giuseppe
Calendi, diretto da Pietro Benvenuti e Raffaello Morghen (edito a Firenze,
nello stesso studio di Morghen, nel 1808). Uno dei segni più eloquenti
dell’alto prestigio raggiunto da Morghen è la stesura di una sua biografia
ufficiale, lui vivente, a opera del suo allievo Palmerini. Il testo, vera e
propria celebrazione del mito umano e artistico di Raffaello Morghen, ebbe una
prima edizione nel 1809 e una seconda nel 1824.
Il convulso avvicendarsi dei governi e gli avvenimenti storici drammatici
che attraversarono l’Italia e l’Europa al passaggio di secolo non intaccarono
più di tanto la serenità dell’incisore. Analogamente ad altri grandi artisti,
la sua opera era apprezzata e ricercata con identico entusiasmo dall’una e
dall’altra fazione ed egli si limitava a fornire il servizio richiesto,
evitando di schierarsi; salvo poi correre il rischio di non riuscire a finire
l’opera prima che il committente perdesse il suo scranno regale. Con l’avvento
del breve Regno d’Etruria, nel 1804, Morghen condusse a termine i ritratti
della regina Maria Luisa di Borbone e di suo figlio Carlo Ludovico che aveva
assunto il regno, sotto la reggenza della madre, dopo la morte del padre
Ludovico. Nel 1805 in occasione del passaggio a Firenze del suo vecchio amico
Canova di ritorno dalla Germania, eseguì per lui un ritratto dal busto di
Antonio d’Este, offertogli poi in dono a un pranzo d’onore da Giovanni degli
Alessandri, presidente dell’Accademia di belle arti di Firenze, il quale ultimo
fu a sua volta ritratto da Morghen nel 1817. Ormai al culmine della carriera
artistica, Morghen fu molto apprezzato dalla reggente di Etruria, che il 7
maggio 1806 gli concesse un cospicuo aumento. Durante i pochi anni in cui le
sorti dell’intera Toscana furono rette da Elisa Bonaparte Baciocchi, Morghen
ricevette commissione di ritrarla in un piccolo busto, terminato solo nel 1814,
e dunque troppo tardi per la sfortunata sorella dell’imperatore, ormai ex
sovrana.
Pur non compromettendosi mai in maniera evidente, l’artista fu
particolarmente legato ai Baciocchi, poiché fin dal 1806 venne eletto socio
corrispondente per la sezione delle arti figurative dell’Accademia degli
Oscuri, istituzione rinnovata con lo statuto del 15 agosto 1805 proprio a opera
di Felice Baciocchi, nobile còrso marito di Elisa. Accanto all’incisore, vi
erano molti degli artisti da sempre a lui più vicini: tra gli altri, Canova,
Andrea Appiani, Pietro Benvenuti, Jean-Baptiste Wicar. La stessa Elisa nominò
Toffanelli pittore di corte a Lucca.
La vera e propria consacrazione dell’eccellenza dell’arte di Morghen giunse
con la commissione del ritratto di Napoleone Bonaparte, su disegno di
Toffanelli tratto da François Gérard, per eseguire il quale Morghen fu
costretto a interrompere l’annoso lavoro della Trasfigurazione.
La commissione napoleonica fu ricevuta nel 1807 da Giovanni Rosini tramite
Giuseppe Giulio Cesare Estense Tassoni, prima rappresentante del Regno Italico
presso la Corte d’Etruria e in seguito ministro plenipotenziario dello stesso
Regno Italico a Napoli. L’incisione fu destinata ad accompagnare le edizioni in
francese del Codice napoleonico di Firenze, Pisa e Venezia, e
pare che riuscisse particolarmente gradita all’imperatore, il quale promise per
l’artista cospicue ricompense. In effetti, durante l’impero napoleonico,
Morghen ricevette alte onorificenze quali il cavalierato dell’Ordine della
Riunione, e le nomine a membro dell’Accademia Italiana di scienze, lettere ed
arti e dell’Istituto nazionale di Francia.
L’apprezzamento del lavoro di Morghen da parte di Napoleone si espresse in
maniera eclatante con l’invito in Francia dell’artista, il quale vi si recò nel
marzo del 1812 per eseguire la stampa dell’opera di Jacques-Louis David Napoleone
a cavallo sul monte S. Bernardo. In giugno tornò dunque a Firenze per
richiedere un periodo di congedo dagli incarichi toscani; ottenutolo, il 9
settembre ripartì alla volta di Parigi, dove si trattenne fino all’aprile del
1813, allorché rientrò a Firenze, pur non avendo ancora ultimato il lavoro, a
causa dell’imminente disfatta di Napoleone. I drammatici rivolgimenti politici
impedirono anche che si concretizzasse l’incarico di stabilire una scuola di
incisione a Parigi con lo stipendio di 30.000 franchi, proposta avanzatagli
dall’imperatore in persona.
Al ritorno a Firenze del granduca Ferdinando (settembre 1814), i professori
dell’Accademia realizzarono magnifici apparati effimeri per i festeggiamenti.
Morghen eseguì una medaglia con la raffigurazione del principe; un nuovo
ritratto fu eseguito nel 1821. L’anno successivo incise anche il ritratto di
Maria Ferdinanda di Sassonia, divenuta granduchessa in seguito alle nozze con
Ferdinando. Pur restando in ottimi rapporti con il granduca di Toscana,
conservò relazioni stabili con il mondo artistico francese: nel 1821 ricevette
commissione dall’amico François Gérard di riprodurre il suo dipinto con le Età
dell’uomo e, grazie alla fama di specialista in opere raffaellesche,
nello stesso anno gli fu affidata la stampa del Ritratto di Giovanna
d’Aragona di Sanzio da parte dei curatori dell’edizione del catalogo
del Louvre. A ulteriore riprova dell’apprezzamento generale della Francia per
Morghen resta l’assegnazione della Legion d’Onore da parte del re Luigi XVIII.
Se la vita professionale di Morghen fu caratterizzata da profonda serenità
non si può dire altrettanto di quella personale. Dopo la morte di Domenica
Volpato alla fine del 1811, Raffaello ebbe almeno altre tre donne. Molto
probabilmente l’artista frequentava Arianna Pessuti, fiorentina, sin da prima
della morte di Domenica; è comunque certo che costei lo abbia accompagnato nel
1812 a Parigi, dove i capricci e gli sperperi della donna lo costrinsero ad
abbandonarla. Successivamente Raffaello si legò a una certa Brigida di
Montepulciano che si era presa cura della sua figlioletta Caterina. Morta nel
1815 anche Brigida, l’anno successivo il cinquantacinquenne Morghen sposò la
ventitreenne nobile pistoiese Adelina Sofia de’ Carlesi dalla quale ebbe una
figlia.
Morì a Firenze l’8 aprile 1833. La lapide apposta sulla sua tomba in S.
Croce lo celebra quale uno dei simboli dell’eccellenza dell’arte italiana.
Enciclopedia Italiana (1934)
Incisore, nato a
Portici il 14 giugno 1761, morto a Firenze l'8 aprile 1833. Fu il figlio
glorioso di una famiglia d'incisori e di disegnatori, formatasi a Firenze nel
primo quarto del sec. XVIII da padre francese e madre genovese. Allievo prima
del padre, Filippo, incisore, e dello zio Giovanni Elia, ...